È possibile affrontare fuori da ogni logica di «campismo» il dibattito su quanto sta accadendo in Venezuela? Ragionare seriamente delle cause che hanno portato il Paese che ha più di tutti contribuito alla rinascita del continente latinoamericano sull’orlo di una guerra civile?

Crediamo che la sinistra più di tutti abbia il dovere di affrontare questa discussione con serietà, rifiutando il terreno degradante su cui si sta imperniando il dibattito pubblico nel nostro paese.
In primo luogo serve rimuovere dalla discussione tanto la rappresentazione di un paese in cui una brutale dittatura sta reprimendo nel sangue una democratica opposizione quanto quella che vede un governo inerme che resiste ad un golpe organizzato.

Il Venezuela di oggi è un paese spaccato in cui lo scontro politico ha raggiunto livelli di violenza insostenibili per il dispiegamento di un processo pienamente democratico. Da parte nostra non abbiamo alcuna esitazione nel condannare la violazione dei diritti civili di oppositori politici e tutte le forme di repressione del governo Maduro, esattamente come siamo capaci di vedere come l’opposizione che agita lo scontro nelle piazze è egemonizzata da quella stessa destra golpista che sostenne il colpo di stato del 2002 contro Chavez sostenuta politicamente e finanziariamente dagli Usa.

Ma resta il fatto che il governo,  pur indebolito dalla crisi economica che ha di fatto distrutto il sistema di welfare chavista, gode ancora un consenso radicato nel Paese, e che non ci troviamo più davanti ad una piccola opposizione che tutela gli interessi economici della parte più ricca del Venezuela, ma ad un forte movimento di dissenso che si è insediato in diversi strati sociali, soprattutto nelle aree urbane e tra le nuove generazioni.

Ignorare tutto questo rischia di farci fare un drammatico errore di lettura e contribuire ad alimentare uno scontro dall’esito disastroso.
Il rischio concreto che corriamo è infatti quello di trovarci davanti a due scenari drammatici, da una parte una possibile svolta autoritaria del governo Maduro, dall’altro ad una sua implosione che lascerebbe il paese nel caos aprendo la strada ad una vera guerra civile.

Alla luce di queste considerazioni riteniamo irresponsabile il modo in cui si sta affrontando il dibattito nel nostro Paese, senza porsi il tema di una soluzione politica, l’unica possibile a questa condizione di stallo, soluzione che dovrebbe essere sostenuta in tutte le sedi internazionali investendo sulla diplomazia e sulla riapertura di un dialogo.
La discussione che invece nel dibattito anche del Parlamento italiano rappresenta il governo come una dittatura e l’opposizione come un campione di democrazia ci sembra strumentale e pericolosa.

Ma per la sinistra si pone comunque il tema di aprire una riflessione sulla sconfitta di un modello, quello bolivariano, che ha ispirato molte delle esperienze di governo più interessanti nel continente latinoamericano. L’idea che lo sfruttamento delle risorse petrolifere da solo bastasse a garantire benessere a tempo indeterminato per un intero popolo, che il futuro non avesse bisogno di programmazione e soprattutto che una esperienza di cambiamento reale potesse fondarsi sul carisma di una sola persona.
Il chavismo non è sopravvissuto a Chavez, le classi dirigenti che lo hanno sostituito, cresciute nel suo cono d’ombra, a partire da Maduro, non si sono rivelate all’altezza delle sfide che il

Venezuela ha dovuto affrontare ed i nodi oggi vengono al pettine.
Ma questo non è certo un buon motivo per augurarsi che quel paese sprofondi nel caos e nella violenza, cosa che una lettura faziosa e di parte rischia di favorire e accelerare.

*Vicepresidente commissione esteri Senato
**Vicepresidente commissione esteri Camera