«Un nuovo codice di accesso alle strutture ospedaliere di pronto soccorso denominato “Codice Rosa”, con la finalità di tutelare le persone appartenenti alle fasce della popolazione cosiddette “vulnerabili” che, nell’ambito delle relazioni affettive o di fiducia, più facilmente possono essere psicologicamente dipendenti e per questo vittime della altrui violenza con particolare riferimento alle vittime di violenza sessuale, maltrattamenti o stalking». Lo prevede il primo di due emendamenti alla legge di stabilità, il 451-bis, firmati dalla dem Fabrizia Giuliani e altri 32 deputati Pd e Ncd-Ap e approvati dalla commissione bilancio della Camera il 15 dicembre, che hanno scatenato l’ira di molti centri antiviolenza e associazioni femministe di aiuto alle donne maltrattate.

Anche se non è una novità: il «Codice rosa» infatti venne introdotto nel 2010 nell’Asl 9 di Grosseto come progetto pilota, e con risultati positivi, secondo il rapporto conclusivo che parlava di «magico effetto domino» nell’abbattere il numero di coloro che arrivando in ospedale si dichiarano vittime di «incidenti domestici». Ed oggi è adottato diffusamente in Toscana, ma anche a Nuoro e in alcuni pronto soccorso del Lazio. Nell’ottobre 2014 la ministra Lorenzin aveva già preannunciato l’estensione del «codice rosa» – che non sostituisce quello di gravità – a tutti gli ospedali italiani.

Eppure il gruppo di Sinistra Italiana a Montecitorio si è mobilitato subito e ieri ha presentato un emendamento soppressivo del «Percorso rosa», come annuncia Marisa Nicchi. La deputata Sel della commissione Affari Sociali spiega: «Con questo nuovo codice, una donna che si rivolge al pronto soccorso si troverebbe di fronte un rappresentante della polizia giudiziaria prima ancora di poter parlare con un Centro antiviolenza che possa aiutarla psicologicamente. C’è il rischio così di ingenerare nelle donne la paura di rivolgersi al Pronto soccorso per farsi curare».

E in una conferenza stampa molto partecipata le associazioni Telefono Rosa, Udi, Dire (che raggruppa 73 centri antiviolenza), Ferite a Morte, Be Free, Pari o Dispare, Scosse, la Libera Università delle Donne di Milano, la Fondazione Pangea, Le Nove, Giuristi Democratici e il sindacato Uil hanno minacciato di ricorrere «al Consiglio d’Europa per violazione della Convenzione di Istanbul» se l’emendamento non sarà bocciato in Aula. E pensare che proprio «in attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica» sarebbe introdotto il «codice rosa», secondo l’emendamento Giuliani. «Assisteremo le vittime di violenza presso la Corte europea dei diritti dell’uomo qualora si sentano lese nei loro diritti dalle procedure dello Stato italiano», ha promesso Telefono rosa durante la conferenza stampa a cui ha preso parte, tra gli altri, anche Pippo Civati.

Il secondo emendamento, il 451-ter, prevede che con un decreto governativo e «tenuto conto anche delle esperienze locali già operative» saranno definite le linee guida per istituire in ciascuna Asl gruppi multidisciplinari costituiti «da magistrati e rappresentanti della polizia giudiziaria, da personale sanitario dipendente delle Asl, volontario o individuato dal Direttore Sanitario, da un magistrato nominato dal Procuratore capo e da un sanitario nominato dal Direttore generale della Asl». Gruppi che possono essere supportati «da altre figure professionali, ivi comprese quelle di ambito socio-amministrativo e rappresentanti del volontariato ed associazionismo» con funzioni di presa in carico della vittima nel «percorso rosa».

Nessun esplicito riferimento alla figura dello psicologo e soprattutto rimane il problema di come sarà seguito il paziente abusato (donne ma anche gay, anziani, immigrati) una volta uscito dall’ospedale, soprattutto perché in caso di violenza domestica, se deciderà di denunciare l’abuso («non c’è alcuna coercizione», ha spiegato la stessa Giuliani) non potrà far ritorno a casa. Un problema che richiede peraltro fondi per finanziare una rete sociale di assistenza.

«Dal 2009 abbiamo seguito 3mila donne, ma abbiamo proceduto all’inverso rispetto a quanto previsto nell’emendamento Giuliani», spiega l’associazione Be Free che opera al San Camillo di Roma. «Abbiamo formato il personale del pronto soccorso per un anno insegnando loro che le donne abusate non pensano affatto a denunciare, ma a proteggere se stesse e i figli, e spesso sperano di salvare ancora la relazione con l’abusante. Hanno bisogno di ascolto, pazienza, costanza, rispetto. E, soprattutto, ci vuole un rigoroso “follow up” che può salvare loro la vita. Proprio quello che l’emendamento non prevede».