Otto donne uccise negli ultimi dieci giorni. Ottantasei da inizio anno. Tra queste, 72 sono vittime di omicidi in ambito familiare-affettivo e in 51 casi l’assassino è il partner o l’ex. Sono i numeri, impietosi e agghiaccianti, dei femminicidi in Italia.

Un fenomeno al quale il Viminale dedica da qualche anno un report con aggiornamenti periodici. Che, però, non specifica un punto fondamentale: l’arma utilizzata. Non è un elemento secondario. Perché se è vero che si può uccidere con tutto, è altrettanto vero che – come evidenziano diverse ricerche – soprattutto negli omicidi familiari e di tipo relazionale, l’arma del delitto non rappresenta un mero strumento per eseguire un assassinio, ma costituisce un fattore psicologico di particolare pregnanza nell’ideazione e nella preparazione dell’azione delittuosa.

Lo dimostrano i casi degli ultimi giorni. Lo scorso 15 settembre una giovane mamma, Alessandra Zorzin, 21 anni, è stata uccisa a Montecchio Maggiore (Vicenza) da Marco Turrin, guardia giurata di 38 anni residente a Padova: l’uomo, poi suicidatosi, non ha utilizzato la pistola che usava per lavoro, ma un’altra regolarmente registrata che si era portato da casa.

L’altro ieri, un anziano di 88 anni, Stellio Cerqueni, è partito dalla sua abitazione a Monfalcone (Gorizia) ed è andato a Sarmeola di Rubano (Padova) dove ha ucciso la figlia, Doriana, con un’arma legalmente detenuta. In dieci giorni, due femminicidi su otto, dunque, sono stati commessi con armi legali.
Non è un dato casuale: dall’analisi degli omicidi riportati nel database dell’Osservatorio OPAL, emerge infatti che lo scorso anno a fronte di 93 omicidi di donne ben 23 sono stati commessi da legali detentori di armi o con armi da loro detenute. Ciò significa che un omicidio su quattro che ha visto come vittima una donna è stato compiuto con un’arma legale.

E’ un dato impressionante se si considera che in Italia solo una persona su dieci tra la popolazione adulta ha una regolare licenza per armi. «Avere un’arma in casa – riporta il Censis – rappresenta una formidabile tentazione di usarla e molti assassini sono in possesso di regolare licenza».
Non esiste una soluzione semplice per contrastare la violenza sulle donne e per prevenire la piaga del femminicidio: bisogna agire su vari fronti e in modo sinergico. E’ necessaria un’opera di lungo corso per estirpare le radici della cultura maschilista e patriarcale attraverso un’azione capillare di educazione, formazione e informazione: azione alla quale non contribuiscono parole come quelle pronunciate da Barbara Palombelli in riferimento ai femminicidi («E’ lecito chiedersi se le donne hanno avuto un comportamento esasperante») che tendono a vittimizzare le donne.

Ma è necessario, fin da subito, togliere dalla mani dei potenziali assassini quelle armi che poi usano per uccidere. Armi che nella gran parte dei casi detengono legalmente con la complicità, va detto chiaro, di norme che ne permettono il facile accesso (ne ho parlato in due miei recenti articoli: qui e qui).
L’arma del femminicidio è sempre più un’arma da fuoco legalmente detenuta. E lo sarà ancora per molto se non si cambieranno le norme.

*Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa – Opal