Carme Forcadell, la presidente del Parlament catalano, conta i voti. Dietro di lei, la senyera quasi si intreccia con la bandiera spagnola, in un’immagine che è la definizione visiva del concetto di «paradosso». Sgrana i «sì», settanta, con la compunzione di una sacerdotessa. Ogni tanto, qualche «no»: uno, due, dieci in totale; e due schede bianche. Basta e avanza per dichiarare, alle 15,27, la Repubblica catalana. Con i parlamentari costituzionalisti usciti dall’aula per protesta, i repubblicani si alzano in piedi e intonano l’inno della nascente Catalogna indipendente.

 

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Hanno vinto: dopo un tira e molla logorante, che ha monopolizzato il dibattito politico (non esiste più corruzione, della disoccupazione non si parla più, la crisi non si sa dov’è finita) e sfibrato la società catalana e del resto di Spagna, gli indipendentisti hanno presentato al mondo la loro creatura. O forse hanno perso, perché, dopotutto, lo scontro frontale consegna agli annali Puigdemont e compagni, ma condanna la causa nazionalista alla reazione repressiva di Madrid e quindi al fallimento. Rajoy, a pochi minuti dal voto del parlament, lo ha ribadito via Twitter: «Lo stato di diritto ripristinerà la legalità». Insomma, se fino all’altro ieri esisteva uno spiraglio per il dialogo – tanto invocato da ogni parte e così poco praticato – il salto mortale di Puigdemont, lo chiude irrimediabilmente. E allora forse non ha vinto nessuno, tranne l’egoismo e l’infantilismo politico che hanno dimostrato sia Barcellona che Madrid, entrambi, fin dall’inizio della crisi, ottusamente determinati ad arrivare alla resa dei conti. I generali indipendentisti tutto questo lo sanno bene. Sanno che ieri hanno portato a casa la più classica delle vittorie di Pirro e perciò, subito dopo il voto (segreto, su richiesta di Junts pel Sì), hanno mostrato alle telecamere dei volti tiratissimi. Come, del resto, quelli del gruppo di Catalunya si que es pot (la costola catalana di Podemos), spaccati al loro interno tra favorevoli e contrari (questi ultimi allineati alla posizione ufficiale del partito). «Il risultato elettorale dà Puigdemont e al suo esecutivo il diritto di governare, non quello di dichiarare l’indipendenza», ha commentato Pablo Iglesias, che però ha manifestato il suo dissenso nei confronti della reazione di Rajoy.

MUSI LUNGHI anche per i socialisti, che hanno pronunciato un discorso durissimo nel parlamento catalano, e ovviamente per Pp e Ciudadanos, la sigla più visibile del fronte unionista in Catalogna. Sorridevano solo quelli di Erc e della Cup, che è riuscita a imporre a tutto il blocco repubblicano la sua linea dura e a mantenere tutte le promesse fatte al suo elettorato; e, insieme a loro, tutto il popolo secessionista, sceso in piazza in massa fin dalle prime ore del pomeriggio per celebrare l’ebbrezza effimera di sentirsi liberi da una Madrid, ieri più che mai, lontana e straniera. Al punto che a Girona, roccaforte indipendentista, la bandiera spagnola è stata rimossa dal palazzo municipale, rimasto vestito solo della senyera, ondeggiante contro il cielo della neonata Repubblica catalana.

 

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AL RUMORE FESTOSO della piazza, faceva però da contrappunto la solennità dell’emiciclo del Senato, dove si preparava il castigo alla hybris catalana. Con 214 voti a favore e 47 contrari, veniva approvata l’applicazione, per la prima volta dal varo della Carta costituzionale, del famigerato articolo 155, appoggiato anche dal Psoe, che ha votato per la linea dura insieme a Pp, Ciudadanos e Coalición Canarias. I «no» sono arrivati dalle bancate di Unidos Podemos, Erc, Partido Nacionalista Vasco e PDeCAT.

Affilati i coltelli in Senato, Rajoy ha convocato per le 7 un consiglio dei ministri straordinario con l’obiettivo di rendere immediatamente operative le misure previste dal 155. Nel mirino, ovviamente, Puigdemont e il suo governo; il paese resta con il fiato sospeso in attesa di sapere l’intensità della risposta di Madrid. Rajoy ricompare verso le 20,20, e spara dritto alla testa dell’indipendentismo, mentre in Catalogna, impazzano i balli e i canti: Puigdemont esautorato, il suo governo rimosso, e il capo della polizia catalana destituito. E – a sorpresa – annuncia già la data delle prossime elezioni regionali: il 21 di dicembre. Ma è solo l’inizio: il 155, verrà applicato «progressivamente e proporzionalmente alle circostanze», come accordato con il Psoe. Ed è molto probabile che a questi primi provvedimenti segua il commissariamento totale dei Mossos d’Esquadra (fondamentale nella strategia del governo di restaurazione dello status quo) e la limitazione dell’autonomia dei mezzi di comunicazione pubblici catalani. «La normalità si costruisce sulla legge; dobbiamo restituire la voce a tutti i catalani». E ricomporre una frattura sociale che impiegherà anni a saldarsi.