Si chiamano Las Kellies perché Ceci, la chitarrista, di cognome fa Kelly. L’idea era creare una specie di famiglia alla Ramones con qualcosa di irlandese. Nomen omen. Lo spirito delle musiciste argentine è goliardico e senza fronzoli come i falsi fratelli del punk rock americano, incline a far festa e pogare come se fosse sempre San Patrizio. Si sono formate a Buenos Aires nel 2005 e già all’epoca si nutrivano con una lista della spesa musicale parsimoniosa, costituita da pochi ingredienti essenziali: garage, punk e dub, a cui con il tempo si è aggiunta una spinta di sapido funky che rende i beat ancora più accattivanti. Impiattato, il risultato è una new wave post-punk intrisa di ritmi dance che strizzano l’occhio al dub-pop.

IN QUESTE SETTIMANE, come molti colleghi, Las Kellies avrebbero dovuto essere in tour in Europa. Di fatto Cecilia Kelly (basso, chitarra e voce) e Silvina Costa (batteria, percussioni e voce) si trovano in isolamento nelle rispettive case in provincia di Buenos Aires. Suck This Tangerine, il loro sesto album, è uscito a fine marzo per Fire Records. Il titolo è una frase idiomatica e in originale è «Chupate esta mandarina», un’espressione molto popolare e un po’ rude, ma colorita, per dire «beccati questa, alla faccia tua».
Cominciamo a raccontare gli esordi. «Nel 2005 quando è nato il gruppo, eravamo molto influenzate dal post punk e dalla no wave degli anni ‘70 e ‘80 provenienti dal Regno unito e da New York. Cut delle Slits fu una rivelazione. All’epoca a Buenos Aires si faceva molta musica, ma noi non sentivamo nessuna relazione con quei gruppi. Volevamo fare qualcosa di diverso, con un beat molto accentuato. Le nostre band di riferimento oltre a The Slits erano Delta 5, Raincoats, Gang of Four, Wire e in seguito le ESG». Infatti a sentire i loro dischi sembra che la seconda metà degli anni ’80, tutti i ’90 e gli anni Zero non siano mai esistiti.

«CI PIACE la musica di quei decenni, ma al momento siamo interessate a creare un suono classico da fine anni ’70. È esattamente il suono che ci piace». Una formula che ha entusiasmato la Fire Records, un’etichetta britannica nata alla metà degli anni ‘80 con un’identità psychedelic art pop che oggi ha in catalogo Jane Weaver e il suo alter ego Fenella, Vanishing Twin, Kristin Hersh e Throwing Muses, Howe Gelb e Giant Sand. Come sono riuscite a convincerli? «Probabilmente per il nostro mix di post punk ed esotismo argentino, oltre al fatto che cantiamo in inglese. Quando suoniamo in Inghilterra, dove abbiamo molti fan di mezza età, ci dicono che abbiamo il suono della loro gioventù». Un suono in cui continua a non esserci traccia di musica argentina. «Ci sono moltissime donne straordinarie nella nostra tradizione musicale, ma noi non ne siamo state influenzate. Ci piacciono i Sumo, una band degli anni ’80, e le She Devils, un gruppo punk femminile degli anni ’80 e ’90 che rispettiamo molto». Che è successo nei cinque anni tra Friends and Lovers (2016) e Suck This Tangerine? «Abbiamo continuato a suonare, Ceci ha pubblicato un disco solista, abbiamo sperimentato suoni e strumenti nuovi e poi facciamo cose diverse dalla musica, cerchiamo di sopravvivere».
Da Friends and Lovers a Suck This Tangerine c’è un passaggio dallo psych-pop/shoegaze al funk-garage. Un cambio di sonorità evidente anche nei titoli, che nel primo sono più evocativi (Brezza Estiva, Il Respiro della Luce) nel secondo molto più brevi, spesso di una sola parola. «Abbiamo capito che ci piacciono le frasi più corte, meno parole, più beat e chitarre affilate. Lo psych-pop era una fase che volevamo sperimentare, le canzoni di Friends and Lovers sono molto mature ma quel genere non fa per noi. Noi vogliamo far ballare la gente il più possibile».

IGGY POP HA DETTO che lui non voleva essere Bob Dylan e citava come esempio il testo piuttosto laconico di No Fun. Nemmeno Las Kellies sono delle raccontastorie: il testo di Closer consiste di appena sette parole (If you wanna get closer come on). «Quello che dice Iggy Pop ci risuona parecchio. Non ci interessa raccontare una storia per intero, si possono raccontare storie anche con poche parole. Pochi versi e ripetizioni rendono il beat più vivido».
Una concisione riflessa anche nei suoni. La formazione è da power trio (chitarra, basso e batteria) come nel rock classico, ma non c’è il virtuosismo tipico del narcisismo maschile. «Ci teniamo a mantenere il suono naturale dei nostri strumenti, primigenio, grezzo. Del resto non saremmo in grado di suonare in modo virtuosistico e ci annoieremmo anche». Infatti la loro filosofia si fonda, come hanno avuto occasione di dire, sulla «vuotezza del suono». Che significa? «A volte se togli qualcosa, il vuoto che si crea per sottrazione si riempie di significato. Continuare ad aggiungere strato dopo strato può creare confusione».

QUINDICI ANNI dopo, nel 2020, che cosa ascoltano Las Kellies? «Soprattutto post punk vecchio e nuovo, reggae classico, hip hop e musica elettronica». Nel frattempo a Buenos Aires musicalmente che cosa è successo? «In Argentina la musica si divide in due. Un mainstream dilagante costituito soprattutto da musicisti uomini e una scena underground enorme, diversificata e popolata da moltissime artiste. Fanno soprattutto pop, trap e cantautorato, ma ci sono anche ragazze molto cool e arrabbiate che fanno rock». Una delle canzoni si intitola Funny Money e sciorina la difficoltà quotidiana di sopravvivenza senza nemmeno un verbo ma con un’ironia accattivante (Daily crisis, Bloody funny, Easy money, Money worries, Pretty funny, Funny money). Come influisce la crisi economica sulla musica? «Siamo abituati a vivere in crisi economica, in Argentina è da sempre il nostro stile di vita. Non crediamo che possa condizionare la nostra musica perché in realtà non sappiamo che significa vivere nel mondo sviluppato. Forse potremmo evolverci in altre direzioni se non fossimo sotto pressione tutti i giorni, ma di sicuro è un modo di vivere che offre molte opportunità di essere creativi».