Il grido di allarme lo avevano lanciato un anno fa i ragazzi della Rete a sinistra: avevano condotto una indagine a tappeto sulla città – 5mila persone contattate, dieci domande ciascuno, ai tempi militanti più che ricerca si sarebbe chiamata «inchiesta» – e avevano scoperto che la rossa Genova era sempre meno a sinistra. Oggi, alla vigilia delle amministrative dell’11 giugno e sulle macerie della coalizione guidato da Marco Doria – ieri in aula l’ultima clamorosa sconfitta del sindaco sulla vicenda Amiu-Iren – le sinistre genovesi potrebbero osare quello che fin qui sembrava impossibile: consegnare la città alla destra per la prima volta nella sua lunga storia operaia. La medaglia d’oro alla Resistenza ha resistito. Fino all’ultimo. Ma ora potrebbe capitolare .

Il paradosso è che succede nel momento di massima crisi dei 5 stelle nella città di Beppe Grillo che potrebbe persino non riuscire a correre alle comunali. Ma Gianni Crivello, assessore di Doria, area Pd con qualche tenerezza verso Sel (che lo aveva indicato in giunta) non ha convinto Sinistra Italiana e la civatiana Possibile, che in queste ore cerca un accordo con ’Effetto Genova’ del fuoriuscito grillino Paolo Putti e minaccia di non votare Crivello neanche al ballottaggio. «È il candidato gradito al Pd e che serve solo a coprire i problemi irrisolti di quel partito», spiega un importante dirigente della sinistra radicale cittadina, «scelto, secondo la loro versione, in base a un sondaggio così segreto che nessuno lo ha mai visto».

Con Crivello si schiera il Pd, Mpd e una serie di sigle della società attiva. «Il nostro candidato ha delle carte da giocare», giura Stefano Quaranta, deputato ex Sel, «È una persona solida, ha retto la protezione civile con capacità. Farà squadra e può essere un riferimento per il civismo e per l’anima di sinistra popolare della città. Non capisco quel pezzo di sinistra che per odio nei confronti di un Pd debole e a Genova non arrogante gioca la carta dello sfascio». Il riferimento è agli ex compagni di Sinistra italiana. Che da subito si sono schierati contro, con la benedizione di Sergio Cofferati, l’ex Pd che alle ultime regionali fece da padre nobile per una nuova formazione che nel 2015 sfiorò il 10 per cento e che doveva essere l’avanguardia della nuova sinistra fuori dal Pd.

D’altro canto anche Sinistra italiana ha i suoi guai: la rincorsa dei fuoriusciti a 5 stelle è più complicata del previsto, il candidato non esce fuori. E – colpo di grazia su una trattativa già molto complicata – ieri fra le due formazioni è scoppiata l’ultima polemica. In ossequio al loro principio «né di destra né di sinistra» la lista Effetto Genova ha escluso dal suo lessico ufficiale la parola «antifascista» a favore di un generico ossequio «ai valori della Costituzione». In Sel non l’hanno presa bene e la prossima settimana dovrebbe arrivare il responsabile organizzazione Claudio Grassi a rimettere ordine sui fondamentali.

Intanto i giovani di «GenovaCheOsa» oggi si vedranno con quelli di « Genova Cambia» per lanciare «la sfida delle nostre idee a Crivello nell’incontro al Mercato del Carmine» ricorda Marianna Pederzolli, la più giovane consigliera comunale della lista Doria. E quelli di Sinistra italiana si abbandonano al loro travaglio: se l’antifascismo non è un paletto, «questo ci porta su una brutta strada» spiega dice Bice Parodi, già rifondarola ma innanzitutto figlia di una deportata a Auschwitz e di un gappista.

La matassa si ingarbuglia sempre di più. Per la gioia del candidato unitario delle destre Marco Bucci, amministratore delegato di Liguria Digitale, leghista «dal volto umano» sponsorizzato anche dal presidente della Regione Giovanni Toti, pronto a replicare il modello unitario di fronte alle sinistre frantumate che due anni fa gli consegnarono a sorpresa una poltrona alla quale neanche ambiva.

Genova potrebbe essere il primo clamoroso test fallito per tutto il centrosinistra: quello post primarie Pd, quello post scissione Mdp, e quello post rifondazione vendoliana. In una tornata di amministrative dove Leoluca Orlando potrebbe rivincere a Palermo a nome di una coalizione centrosinistradestra senza insegne di partito (Mpd e Sinistra italiana fuori), e dove anche L’Aquila e Catanzaro, gli altri due capoluoghi di regione, non promettono niente di buono. E così Verona, Padova, Vicenza. Per tutti, un viatico niente male per le politiche del 2018.