Mercoledì prossimo si riunisce per la prima volta il nuovo parlamento catalano, ma è nebbia fitta su quello che succederà. Anche se i tre partiti indipendentisti hanno in teoria la maggioranza dei seggi, l’incertezza sugli accordi di governo, a cui si aggiunge la spada di Damocle giudiziaria, rendono la situazione intricatissima.

Dopo che la settimana scorsa il giudice si è rifiutato (con motivazioni giuridiche piuttosto discutibili) di liberare il segretario di Esquerra republicana Oriol Junqueras, in carcere preventiva da più di due mesi, oggi tocca agli altri tre incarcerati: i deputati del partito di Carles Puigdemont Junts per Catalunya, Jordi Sánchez e Joaquim Forn (quest’ultimo ex ministro degli interni catalano), e Jordi Cuixart, capo di una delle organizzazioni indipendentiste. Il giudice, che li ha ascoltati ieri, deciderà verosimilmente oggi se lasciarli a piede libero o no. Intanto, Junqueras ha chiesto di essere trasferito a un carcere catalano per poter partecipare alle sedute del parlamento. È probabile che il giudice permetterà la partecipazione politica dei tre deputati, mentre la scarcerazione sembra più difficile. E questo nonostante i tre ieri abbiano abiurato davanti alla corte, promettendo che mai e poi mai torneranno a percorrere la via unilaterale, che lasceranno il seggio nel caso si dovesse decidere altrimenti e che l’unico referendum legale che accetteranno è quello che convocherà il governo spagnolo.

Insomma, una retromarcia su tutta la linea, almeno a parole, che si unisce a quelle che in questi mesi hanno fatto altri indipendentisti. E che contrasta, invece, con la posizione che difende il fuggitivo Puigdemont, deciso, assieme alla sua lista, a essere investito in absentia, per quanto sul procedimento esistono numerosi dubbi giuridici. Ma intanto il primo nodo, da cui poi dipenderanno tutti i passi successivi, è la scelta della presidenza della camera. Per il momento, nessuno dei 5 fuggitivi ha rinunciato al seggio, per cui gli indipendentisti avrebbero solo 65 seggi su 135, gli stessi dell’opposizione (se i tre incarcerati potranno partecipare).

La presidente uscente Forcadell (anche lei imputata) ieri ha detto di non voler fare il bis, e quello che nelle file di Esquerra Republicana sembrava il candidato più ragionevole e dialogante dentro il govern uscente, l’ex ministro di giustizia Mundò, che avrebbe potuto succederle, ha deciso di lasciare la politica e rinunciare al seggio (anche lui è imputato). Se la rinuncia di Mundò ha fatto rumore, la vera bomba nel mondo indepe è stata l’abbandono, due giorni fa, da parte dell’ex president e onnipotente Artur Mas. Si è dimesso dalla presidenza del partito di Puigdemont, il cui vero nome è (oggi) Partito demòcrata català, in un gesto letto come un distanziamento dalle posizioni di Puigdemont: lo ha fatto lo stesso giorno, il 9 gennaio, in cui la Cup due anni fa l’aveva costretto a rinunciare alla presidenza della Generalitat, e a una settimana dalla sentenza del maxi processo contro la corruzione del suo partito (che allora si chiamava Convergència democràtica de Catalunya), che verrà resa nota lunedì. Anche Mas è coinvolto nel processo contro i vertici politici indipendentisti ed è già stato condannato a due anni di interdizione dai pubblici uffici per aver organizzato il precedente referendum nel 2014, mentre è in attesa di sapere se lo condanneranno a pagare le spese sostenute dalla finanza pubblica per quello stesso referendum.

La Cup, con i suoi tre deputati, intanto non ha chiarito cosa farà rispetto all’investitura di Puigdemont. La loro posizione è proseguire nel cammino di rottura istituzionale verso la «Repubblica catalana».