La Commissione europea aspettava di ricevere la prossima settimana le 120 pagine del «Libro bianco», il common rule book che il governo May aveva messo a punto ai Chequers, dopo 12 ore di discussioni il 6 luglio scorso. Ma la situazione è precipitata, con le dimissioni prima del ministro del Brexit, David Davis e del suo numero due, Steve Baker, e poi, ieri, del responsabile degli Esteri, Boris Johnson.

Con una prima reazione alle dimissioni di Davis, Bruxelles ha osservato che le autorità della Ue sono pronte a continuare a negoziare con la personalità che Londra avrà scelto (sperando che sia più assidua di David Davis, molto assente). Ma ieri sera non era chiaro se il successore di Davis, l’euroscettico Dominic Raab, potrà riprendere il filo delle discussioni per definire la Brexit. A Bruxelles ricordano che il tempo stringe: l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, dopo il voto «leave» al referendum del giugno del 2016, è prevista per la fine del marzo 2019. Era stato accordato un periodo di transizione che Theresa May avrebbe voluto di due anni ma che Bruxelles ha concesso solo fino al 31 dicembre 2020. Una rivolta dei pro-Brexit aprirà una crisi di governo e a elezioni anticipate, facendo saltare le scadenze finora stabilite.

DI FRONTE ALL’INCERTEZZA che regna a Londra sulla sopravvivenza dello stesso governo, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, si è limitato a ironizzare sulla supposta «grande unità» a Chequers, vantata da Theresa May su «una zona di libero scambio tra Gran Bretagna e Ue, con un insieme di regole comuni per i beni industriali e i prodotti agricoli». «Non posso che dispiacermi che l’idea della Brexit non se ne sia andata con Davis e Johnson, ma chissà?», spera il presidente del Consiglio, Donald Tusk, che ammonisce: «gli uomini politici vanno e vengono, ma i problemi che hanno creato al popolo restano». All’origine delle dimissioni di Davis c’è una divergenza sulla «clausola di salvaguardia», che nel testo dei Chequers non aveva nessun limite di durata: questa clausola permette alla Gran Bretagna di restare nell’Unione doganale fino a quando non verranno messe a punto delle tecnologie per permettere di stabilire una frontiera «invisibile» tra le due Irlande (non prima del 2023, secondo gli esperti). Per Davis, un paravento per nascondere un abbandono progressivo della Brexit, impedendo sine die a Londra di concludere trattati commerciali con paesi terzi.

DOPO IL VERTICE NATO del 12-13 luglio, Donald Trump andrà a Londra. Per il governo May, se non sarà in piena tormenta di un voto di sfiducia, potrebbe essere la prova che cercano i difensori di un Hard Brexit: mostrare che la strada è aperta per concludere accordi commerciali bilaterali. A pochi mesi dalla Brexit, niente è ancora stato definitivamente deciso. La Gran Bretagna dovrà finanziare i programmi in corso e versare i contributi per tutto il periodo di transizione. Non è ancora stata definita con chiarezza la situazione dei cittadini Ue in Gran Bretagna (quelli già residenti, quelli che entreranno dopo la Brexit, i famigliari ecc.). La confusione continua anche sulla questione dell’Irlanda.

David Davis aveva anche contestato l’esclusione della Gran Bretagna da importanti progetti Ue, a cominciare da Galileo (il Gps europeo), dove Londra era fortemente impegnata. L’intrico della Brexit appare irrisolvibile. Mentre il governo May stava precipitando nella confusione, a Versailles Emmanuel Macron si è rivolto con un lungo discorso a parlamentari e senatori riuniti: ha difeso l’idea di un’Europa solidale (a cominciare dai migranti), in vista di una battaglia tra «progressisti» e «nazionalisti» alle europee del 2019.