Negli ultimi anni a Roma almeno una volta al mese mi è capitato qualcuno che mi volesse fare la truffa dello specchietto. Mentre sei al volante senti uno stonk su una fiancata, qualcuno dietro ti lampeggia. Rallenti, ti fermi, scendi dalla macchina, il guidatore della macchina dietro fa lo stesso. In genere ti aggredisce, ma può essere più cauto, ti mostra una strusciata sulla fiancata o uno specchietto rotto. Ti rimprovera: «Non si guida con il cellulare!, non mi hai visto!, ho dei bambini dietro!».

Perché ci sono sempre dei bambini sul sedile posteriore della sua macchina. Poi ti quantifica il danno: sarebbero 300 euro, ma visto che non gli sembri una cattiva persona e anche la sua macchina è ridotta così così e non c’è tempo di chiamare i vigili, ne bastano 150 e va bene così; non ce l’hai?, anche 100 vanno bene, non ce l’hai spicce?, ti accompagno a uno sportello del bancomat.

Non ci vuole molto a cavarsela per evitare la truffa, basta proporre un Cid, e l’altro già si ritirerà a miti consigli. Basta affermare di non avere nessuna fretta e chiamare i vigili e l’altro si agiterà e finirà per andare via borbottando.

Ormai mi è capitata così tante volte la truffa dello specchietto che mi viene da ridere quando sento lo stonk o provo pena quando vedo le facce dei bambini sul sedile assistere a quella che per loro sarà l’ennesima pantomima. Ma soprattutto mi fa pena una città che si sta riducendo così: a campare di espedienti, a provare a monetizzare persino il traffico, il casino, la distrazione, il senso di colpa.

È facile immaginare perché mi sia capitata così tante volte la truffa dello specchietto. Passo nel traffico una quantità di tempo quotidiano spropositato: due ore? tre ore? Non sono un’eccezione. Da qualche giorno è uscito un report Inrix che mette Roma al secondo posto al mondo dopo Bogotà per tempo medio trascorso nel traffico: 254 ore annue (rilevazioni 2018, più 16 per cento sull’anno precedente).

Tenendo conto che ci sono persone che possono permettersi di non prendere la macchina, vuol dire che milioni di persone invece ogni anno passano nel traffico l’equivalente di un mese e mezzo. Allo stesso modo questa condizione disumana si riverbera sulle multe.

A Roma sono più di un milione e due nel corso dell’anno, di cui più della metà, 650mila, per aver lasciato la macchina in doppia fila. Del resto come si può pensare di andare da una parte all’altra della città, gestire i propri lavori precari, andare a prendere i figli a scuola, fare consegne senza lasciare la macchina dove si può, sulle strisce, in doppia fila? Come si può pensarlo con una rete del trasporto pubblico così carente? Sedici minuti di media di attesa e cinquantadue minuti di media sul percorso (dati moovit) vuol dire che ogni corsa che facciamo dura di media un’ora e otto minuti.

Certo Roma è una città gigantesca, ma sono numeri superiori a qualunque città europea. E la ragione sta anche nell’aver pensato di popolare la cintura urbana senza costruire un’adeguata rete di trasporti. Le nuove centralità inaugurate dalla giunta Veltroni si sono rivelate uno dei disastri peggiori che potevano capitare a chi vive qui.

È una città che distrugge l’umore anche a quelli con le migliori intenzioni e allena all’illegalità soprattutto chi non ha privilegi. L’anno scorso le domande di rottamazione delle cartelle esattoriali sono state 80mila nella capitale. Più che un condono, la richiesta di un’indulgenza plenaria. Qualcuno si stupisce perché la città vota sempre più a destra? Soprattutto quella che non vive nel primo e nel secondo municipio? Anche i tassi di disoccupazione sono polarizzati: vicino alla cintura urbana si arriva anche al 20 per cento, al centro storico al 6.

E anche i modi di sfangarla, magari affittando la propria casa di proprietà o una stanza su airbnb non valgono più: come in tutte le altre città europee la speculazione di airbnb ha tolto decine di migliaia di case dagli affitti lunghi per darle al turismo mordi e fuggi, ma al contrario di tutte le altre città europee questo non ha nemmeno portato a un’inversione di tendenza nel mercato immobiliare. La crisi rimane crisi. Airbnb è ormai è in mano a grossi affittacamere con cento o duecento appartamenti a testa; e chi vuole affittare la propria stanza per sopravvivere non riesce più a farlo.

Non si capisce come sta cambiando la criminalità se non si riconosce come l’economia cittadina sia sempre più povera. Il modello San Basilio – un quartiere in cui l’indotto dello spaccio permette di campare al 15 per cento degli abitanti – ha una ragion d’essere non solo perché la richiesta delle sostanze a Roma è in crescita, ma perché l’alternativa allo spaccio qual è? La succursale del clan Morando (21 arresti qualche giorno fa) garantiva introiti a San Basilio per 15mila euro al giorno, con compensi da 100 a 150 giornalieri anche alle semplici vedette.

Come non si vede tutto questo? Servizi sociali distrutti da una privatizzazione selvaggia, patrimonio pubblico delle case popolari diventato un’azienda dopo la trasformazione dello Iacp in Ater, più di diecimila persone che vivono per strada, il malessere cittadino trabocca dalla dimensione privata a quella pubblica. Il recente regolamento urbano immagina di intervenire con l’aumento delle sanzioni: più multe, più daspo. Ma gli abitanti chiedono, implorano l’amministrazione a Roma soltanto di una cosa: stare un po’ meglio, un sollievo, sopravvivere.