«Ci sono tutte le premesse per un bellissimo 2019 e per gli anni a venire. L’Italia ha un programma di ripresa incredibile. C’è tanto entusiasmo e tanta fiducia da parte dei cittadini e c’è tanta determinazione da parte del governo». Dopo avere vaticinato mercoledì scorso i dati dell’Istat sulla «recessione tecnica» (-0,2% del Pil nel quarto trimestre 2018, il secondo in negativo), il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ieri ha sperimentato le sue capacità divinatorie sugli effetti «espansivi» della manovra che dispiegherà i suoi effetti taumaturgici a partire dal secondo semestre 2019.

LO HA FATTO USANDO di nuovo la categoria estetica del «bello», già evocata nell’ottobre scorso prima dei faticosi giorni delle trattative a Bruxelles, dove il governo è stato costretto a tagliare dalla legge di bilancio 4,2 miliardi di investimenti e 4,6 miliardi di risparmi al cosiddetto «reddito di cittadinanza» e quota 100. Quello era il tempo dei festeggiamenti di Di Maio e dei Cinque Stelle dal suo balcone di Palazzo Chigi per il deficit al 2,4% sul Pil. «Più passa il tempo più mi convinco che la manovra è molto bella» disse Conte. Per poi rielaborare il concetto fino a ieri. Nel frattempo è arrivata la clamorosa bocciatura del provvedimento per una «deviazione senza precedenti» rispetto alle regole del «Fiscal Compact» un tempo inviso ai «populisti». E, infine, la trovata dello zero in mezzo al due e al quattro: un deficit allo 2,04% per creare una simpatica illusione ottica.

LA SVOLTA ESTETICA alla macroeconomia applicata al bilancio di uno Stato è senz’altro un modo poco ortodosso per presentare la scienza triste dell’austerità in cui anche questo governo si sta esercitando. Il giorno dopo della conferma di un’economia ferma dopo 14 trimestri di crescita anemica c’è stata un’intuizione. In otto mesi non avevamo ancora compreso che Palazzo Chigi è diventato un movimento artistico. Se poi da «bella» la manovra assume le caratteristiche di «bellissima», sprigionando una qualità soggettiva, e non storica, nel corso dei prossimi mesi, è possibile ipotizzare la corrente a cui si ispira il presidente del Consiglio. L’estetismo morale, ad esempio. Quello di Andrea Sperelli, il protagonista del «Piacere» di Dannunzio. Di un certo Oscar Wilde. O di John Ruskin. L’idea che l’obbligo imposto dallo Stato ai poveri assoluti beneficiari di un sussidio vincolato al dovere di lavorare otto ore gratis a settimana, alla formazione e agli sgravi delle imprese avrà entro dicembre un effetto sui consumi sia «bellissimo» è la sublimazione di un auspicio, più che la congettura su un ciclo economico. Ipotizzare che un effetto pari allo 0,2% del Pil, prodotto secondo lo stesso governo dal «reddito», possa essere la leva di un rilancio è poco credibile. Aspettiamo di verificare i fatti. Nell’attesa, l’invito è di trasformare una vita difficile in un’opera d’arte. Da qui nasce il desiderio di una «ripresa incredibile». Di bellezza.

DA UN GOVERNO alla ricerca della connessione estetica con il suo popolo immaginario, ieri è giunta la voce lontana del ministro dell’economia Giovanni Tria. Non aduso all’estetica, ma ai più prosaici studi sui decimali, da New York ha esibito una massima muscolare che potrebbe restare negli annali di un patriottismo molto personale: «Guardare con pessimismo al futuro non è una forma di realismo ma di sabotaggio – ha detto Tria – Il che non significa non essere realisti. Ci sono tutte le condizioni di una ripresa dell’economia italiana».

IN ATTESA DEL 7 FEBBRAIO, quando la Commissione Ue pubblicherà le nuove previsioni economiche «intermedie», solo con i dati sul Pil, ieri il centro studi di Confindustria ha rischiato un accusa di «sabotaggio» smentendo la ricostruzione di Conte sulle cause «esogene» della recessione (la guerra dei dazi Usa-Cina). L’indice di attività del settore manufatturiero è calato al livello del 2013; il comparto auto ha segnato a gennaio una flessione del 7,5% (Fca -21,6%); il differenziale tra i Btp italiani e il Bund tedesco ha toccato i massimi da metà gennaio, con i rendimenti risaliti al 2,74%. La manovra giallo-verde potrebbe avere un impatto ridotto sulla crescita dello 0,4%. Ma sono in diversi a ipotizzare che sarà anche più bassa. Quando era «bella» la manovra, il governo pensava ancora all’1% tondo. Erano altri tempi.