La sovranità monetaria è una battaglia di sinistra
Debito La categoria «sovranità» era emersa negli incontri internazionali di Porto Alegre, declinata come sovranità alimentare, energetica e, appunto, anche monetaria
Debito La categoria «sovranità» era emersa negli incontri internazionali di Porto Alegre, declinata come sovranità alimentare, energetica e, appunto, anche monetaria
Ha ragione Luigi Pandolfi a denunciare il fatto che l’opposizione alle politiche di austerity le abbiamo lasciate in mano alla destra fascistoide. Non basta che esponenti della sinistra radicale ogni tanto alzino la voce contro queste politiche.
Bisognerebbe anche trovare delle alternative credibili e praticabili.
Certamente, come viene suggerito nell’articolo citato, si potrebbe sterilizzare una parte del debito pubblico trasformato i titoli di Stato in possesso della Banca d’Italia in titoli “irredimibili”, ma questa operazione non è una passeggiata come dimostra la storia europea e italiana, perché colpisce la credibilità di uno Stato e la fiducia dei risparmiatori e investitori. Insomma, è una questione da approfondire, ma non è l’unica soluzione per uscire da questa situazione insostenibile e da rapporti di forza asimmetrici.
E questo è il punto: quando si parla di rivedere i Trattati europei o di sfondare il rapporto Deficit/Pil non si tengono in conto i rapporti di forza realmente esistenti.
Avendo perso i singoli stati europei la possibilità di battere moneta ed essendo costretti ad acquistarla dalle banche private pagando un interesse del 4 per cento (mentre le banche la ricevono dalla Bce a tassi vicino allo zero) uno Stato come il nostro con un debito pubblico che va oltre il 130 per cento del Pil e paga interessi annui legati alla speculazione finanziaria c’è ben poco da fare restando entro questi rapporti di forza asimmetrici.
Si può sbraitare contro i burocrati di Bruxelles quanto si vuole, aumentando per questa via il consenso popolare, ma se si alza lo spread perché “i mercati” puntano a speculare sui nostri titoli di Stato andremo a pagare interessi annui oltre i 70 miliardi attuali e ci avvicineremo al default (Argentina docet).
Un grande intellettuale, oltre che prestigioso sociologo e economista, come Luciano Gallino, nella prefazione ad un volume sulla “Moneta fiscale” curato da Marco Catteneo, Stefano Sylos Labini, Enrico Grazzini, ha spiegato con estrema chiarezza e precisione come i nostri guai finanziari sono cominciati da quando abbiamo perso la «sovranità monetaria».
Ed essendo uomo di sinistra non avrebbe mai immaginato che in pochi anni avremmo regalato questa battaglia sacrosanta alla destra fascista e sfascista. Non a caso la categoria della «sovranità» era emersa negli incontri internazionali di Porto Alegre declinata come sovranità alimentare, energetica e, per l’appunto, monetaria.
Il movimento no/new global aveva espresso e articolato una critica diretta a questa globalizzazione finanziaria che sottomette al volere del capitale finanziario le stesse istituzioni politiche nazionali e locali. Tra le alternative emerse ci sono le monete locali e, nello specifico caso italiano, quella dei Certificati di Credito Fiscale , detta anche “moneta fiscale” proposta dagli autori qui già richiamati. Con il sostegno scientificamente approfondito da parte di Luciano Gallino e la critica, scontata, dei tecnici della Banca d’Italia e di altri economisti neoliberisti che condividono una visione sacrale del denaro.
Creare una moneta parallela da parte dello Stato, o come la definisce Gallino una forma di “denaro potenziale”, permetterebbe di immettere liquidità nel sistema e far ripartire la domanda aggregata senza aumentare il deficit dello Stato.
Purtroppo, anche a sinistra c’è una parte rilevante che di fronte ad ogni alternativa non ortodossa storce il naso perché ha interiorizzato il culto magico-sacrale del denaro, del novello “vitello d’oro” e le orazioni dei suoi sacerdoti (economisti e speculatori finanziari).
E’ fuorviante dividersi tra rigoristi e sovranisti, la vera divisione passa su chi deve pagare il debito pubblico nel medio periodo e su chi deve ricadere il costo della crisi finanziaria.
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