«La Spagna deve continuare a progredire, nella tolleranza e nel rispetto. Senza tensioni, ridistribuendo ricchezza, riconoscendo nuovi diritti e libertà. Per questo, ho proposto lo scioglimento delle Camere e la richiesta di #ElezioniGenerali il 28 aprile».

È il tweet di Pedro Sánchez subito dopo la conferenza stampa alla Moncloa. Tra far finta di niente e far procedere il suo governo per decreti e relative estenuanti trattative, ha scelto di dimettersi e ha iniziato la campagna elettorale garantendo comunque la rivalutazione delle pensioni, l’aumento del salario minimo e del salario dei dipendenti pubblici. Grande la responsabilità di Pdcat e Esquerra Repubblicana, le forze indipendentiste catalane, nonché parte della maggioranza che aveva portato Sánchez al governo, di negargli il voto su una finanziaria sociale che progettava di togliere ai ricchi per dare ai poveri, catalani compresi.

Una pessima scelta per la Catalogna condannata a un futuro di tensioni politico e sociali terribili e prigioniera di due opposti estremismi: un indipendentismo unilaterale, socialmente minoritario e senza alcun riconoscimento internazionale, a cui si contrappone una pura logica repressiva. Anche un danno per i rappresentanti indipendentisti, ingiustamente in galera da oltre un anno, che subiranno nel processo questo clima voluto dalle destre, ma a cui le forze indipendentiste si sono prestate. La manifestazione di domenica scorsa convocata dal blocco delle destre contro Sánchez, più che per la partecipazione impressionava per l’appiattimento del Pp e di Ciudadanos sui falangisti di Vox, sul ritorno al peggior passato spagnolo che propongono.

Ma non basta a spiegare la fine repentina del governo. I dinosauri del Psoe che non hanno mai digerito né il ritorno di Sánchez alla guida del partito, né l’alleanza con Unidos-Podemos per governare, hanno determinato una condizione ostile a quello che è stato l’esecutivo più corto della democrazia spagnola. Con il maledetto sogno nel cassetto, archiviato Sánchez, di recuperare l’intesa con Ciudadanos, sperando che la crisi aperta da Errejón disegni un Podemos più moderato, per mettere per sempre fuorigioco quell’esperienza che ha dato voce alle piazze indignate del 2011.

Se la mobilitazione delle destre ha un qualche merito è solo quello di far capire bene quale avversario le sinistre si troveranno ora di fronte nello scontro elettorale. Inutili gli sforzi di Rivera, segretario di Ciudadanos, di smarcarsi da Vox, quando diventa sempre più evidente che la ricetta liberista, in Spagna come nel resto d’ Europa, ha possibilità di affermarsi solo se coniugata con la rottura del modello democratico, rottura che Vox e le ultra destre propongono.

Non a caso la prima dichiarazione di Rivera, quel «io non farò più accordi con Sánchez» subito dopo l’annuncio della fine legislatura, è sembrata un invito ai dinosauri del Psoe di liberarsi del segretario. Se impressiona la durezza dello scontro che le destre annunciano, così come potrebbero scoraggiare i sondaggi che ne anticipano la certa vittoria alle elezioni generali, la debolezza della manifestazione di Vox, Pp e Ciudadanos, dovrebbe indurre a una riflessione sui reali rapporti di forza nella società spagnola. Già lo sciopero globale femminista del prossimo 8 marzo evidenzierà la vitalità di un’altra Spagna che non deve essere costretta all’astensione, come è successo alle elezioni in Andalusia.

La sfida che attende le sinistre è essere politicamente all’altezza delle domande di cambiamento. Una alleanza fra i dinosauri del Psoe e Ciudadanos che occhieggia al Pp che vuole abolire l’aborto per costringere le donne a fare quei figli utili domani per pagare le pensioni, come potrebbe raccogliere la domanda di cambiamento del femminismo spagnolo?

Rilanciare l’alleanza fra il Psoe di Sánchez e la coalazione Unidos Podemos, con quel progetto di Spagna che la finanziaria bloccata delineava e che non era fatta solo di giustizia sociale e di un po’ di redistribuzione del reddito, sembra la prospettiva praticabile per scagionare una sconfitta. Tutto questo è necessario, non sufficiente per vincere le elezioni di aprile: bisogna misurarsi con la questione catalana. Un nuovo statuto per la Catalogna o una riforma federalista della costituzione, per dare corpo alla Spagna plurinazionale, è una possibile via politica per sottrarre voti al nazionalismo borbonico e a quello catalano. Non va dimenticato che è proprio su questo progetto che la confluenza fra Podemos, Izquierda Unida e il movimento della sindaca Ada Colau è stata la forza più votata dai catalani alle ultime politiche e quella che ha permesso di governare Barcellona.