Se ogni volta che ci muoviamo, rispondiamo a delle domande, interagiamo in tempo reale con gli altri e con l’ambiente dovessimo pensare a ciò che stiamo facendo e calcolare consapevolmente tutte le cause e implicazioni, di fatto non agiremmo più o il nostro agire sarebbe così lento da risultare vano. E dunque nonostante la naturale propensione a ritenere che i nostri gesti siano per lo più voluti da noi e che quelli che invece compiamo in automatismo siano una piccola parte, è vero esattamente il contrario.
L’illusione della volontà cosciente dello psicologo Daniel Wegner (Carbonio Editore, pp. 460, euro 18, traduzione di Olimpia Ellero) descrive questa situazione con esperimenti relativi ad ambiti tra loro assai distanti, confermati da una letteratura clinica e teorica imponente, quasi schiacciante. Emerge con chiarezza che la sensazione di essere gli agenti e le cause delle nostre azioni è un’illusione prodotta da vari fattori: da equivoci concettuali; da una profonda esigenza di semplificazione; da bisogni teologici e morali.

GLI ERRORI CONCETTUALI consistono nel confondere tra loro sensazioni e avvenimenti. Il provare un dolore che non corrisponde a un danno organico non cancella affatto la sensazione di dolore, che appare del tutto reale; così il non sapere che cosa ci abbia spinti a una certa azione non cancella la sensazione di esserne in ogni caso gli autori. I primi – danno organico, cause reali – sono degli avvenimenti, le seconde – il dolore, l’agentività – sono delle sensazioni. In generale «il libero arbitrio è una sensazione, mentre il determinismo è un processo. Sono incommensurabili». L’ipotesi più corretta è che la volontà cosciente sia un’emozione/illusione assai potente che però rientra pienamente nella struttura deterministica del mondo. Se l’illusione della volontà ha così tanto successo è anche perché semplifica la spiegazione e la comprensione dei comportamenti umani. Nessun gesto, infatti, nessuna decisione, nessun pensiero, nessun evento sgorga dal nulla, è privo di cause, è frutto di casualità. E però le scaturigini di tutto ciò che facciamo e delle situazioni in cui ci troviamo sono talmente profonde, lontane, complesse e tra loro collegate da rendere impossibile una loro comprensione e conoscenza perfette. Attribuire l’accadere a una volontà consapevole che in ultima istanza e nei tempi più vicini ha voluto quell’evento, semplifica moltissimo il quadro, è una scorciatoia illusoria ma utile.

Abbiamo quasi sempre la sensazione che le nostre azioni siano il frutto immediato della nostra volontà, ignoriamo però le complesse cause che hanno indotto la nostra volontà a volere proprio quell’azione e non un’altra tra le tante in teoria possibili. La componente teologica e giuridica della credenza nel libero arbitrio è tanto evidente quanto fondante. Molti bambini parlano e giocano con il loro «amico immaginario» – il Danny di Shining ad esempio –, molti adulti continuano a dialogare con qualcuno che sanno essere se stessi ma al quale si rivolgono come se fosse un altro. Queste entità immaginarie hanno sempre una notevole forza agentiva.

IMMAGINARE un genio della lampada così potente da poter realizzare i nostri desideri e farcelo amico significa immaginare di avere dalla nostra parte una potenza che ci salvaguarda, significa godere di una sensazione di sicurezza. E dunque «la tendenza a credere che esista un Dio, o più di uno, è coerente con la nostra confusa percezione degli agenti in ogni luogo, anche se in questo caso si tratta del più importante in assoluto degli agenti ideali, la migliore delle menti possibili. Dio potrebbe essere l’amico immaginario per eccellenza».
A questa potenza si attribuiscono poi, inevitabilmente, funzioni di premio e di castigo, le quali non avrebbero senso se non si presupponesse la libertà di decisione sulle proprie azioni. La questione teologica diventa così un problema giuridico quasi inestricabile, una volta che si è privilegiata la colpa interiore e soggettiva rispetto al danno oggettivo che un’azione eventualmente produce; «gran parte dei timori relativi alle spiegazioni meccanicistiche del comportamento umano può essere fatta risalire alla cultura occidentale e alle sue ideologie religiose», in particolare a quelle monoteistiche nelle quali il posto dell’anima individuale diventa preminente, se non totale.

LA VIVACITÀ con la quale Wegner affronta e dipana questioni così complesse e fondanti è mostrata anche dalla suggestiva epigrafe, una poesia di Ambrose Bierce da Il dizionario del diavolo (1911): «Una foglia si staccò da un alto ramo, / disse: ‘Di cadere a terra io bramo’. / Il vento dell’ovest, alzandosi, la fece turbinare. / ‘A est’, disse, or mi dovrò orientare’. / Il vento dell’est s’alzò con maggior forza. / Quella disse: ‘Sarebbe savio cambiar la mia corsa’. / Con egual poter si svolse la lor contesa. / ‘La mia scelta è meglio lasciar sospesa’. / Si spensero i venti e la foglia, non più afflitta, / esclamò: ‘Ho deciso: cadrò giù dritta’».