Non succede tutti i giorni che gli scienziati di tutto il mondo si diano appuntamento in piazza. Già, perché oggi la March for Science occuperà le strade di più di 500 città in tutto il mondo.

L’idea era nata a gennaio negli Stati Uniti, all’indomani dell’insediamento del presidente Donald Trump, sull’onda del grande successo della Marcia per le donne. La nuova presidenza ha mostrato subito un cambio di registro verso la scienza. Obama era particolarmente sensibile ai temi scientifici. A gennaio era stato l’unico presidente degli Stati Uniti in carica a firmare un articolo per la principale rivista scientifica Science (sull’energia pulita) in un chiaro messaggio di sostengo alle politiche basate su dati e numeri. Nelle ultime settimane prima di lasciare lo studio ovale aveva anche firmato un articolo sul New England Journal of Medicine sulla sua riforma sanitaria e sull’Harward Law Review uno in difesa della sua riforma del sistema penale.

TRUMP né personalmente né politicamente ha alcun interesse nell’associarsi alla ricerca scientifica, in particolare quella sul cambiamento climatico. Ha messo a capo dell’Agenzia di protezione ambientale uno che nega che il cambiamento climatico sia reale; nella sua proposta di budget (che deve ancora essere approvata dal Congresso, in mano repubblicana, partito tradizionalmente poco entusiasta verso la scienza) ci sono tagli importanti per le agenzie che studiano l’ambiente, per l’osservazione della terra della Nasa e per i National Institutes of Health, il tempio della ricerca biomedica mondiale. Non ha nominato un consulente scientifico e fa l’occhiolino agli anti-vaccini. Per confronto, Obama nel 2008 aveva come ministro per l’energia un Nobel, il fisico Steven Chu.

I segnali sono chiari, e gli scienziati li hanno colti subito: non sarà una luna di miele. L’idea della marcia si è concretata rapidamente, ed è stato scelto proprio il 22 aprile, giorno della Terra, per celebrare il grande rito collettivo per stigmatizzare un approccio di cui Trump è solo l’epifenomeno più lampante ma che evidentemente serpeggia ben oltre Washington. E in effetti in pochissimo tempo sono sorte iniziative in più di 40 paesi nel mondo. In Italia sono previste marce a Roma, Milano, Caserta, Firenze, Potenza.

PER DIRLA CON LE PAROLE dell’ex consulente scientifico di Obama John Holdren, «stiamo sperimentando una cosa diversa rispetto all’approccio tradizionale: scrivere sobri editoriali, o dare conferenze al rotary club, o parlare fra di noi nei corridoi delle università, delle accademie nazionali della scienza o nei nostri incontri scientifici . Più riusciremo a far parlare le persone dell’interesse della società per la scienza e la tecnologia meglio sarà. Se la Marcia riuscirà a persuadere più persone a entrare in questa conversazione, sarà un successo». Una delle organizzatrici della marcia principale, a Washington, Caroline Weinberg, dice a Scientific American che l’idea che unisce chi marcia è quella di «evidenziare il ruolo della scienza nella società e la necessità che la scienza sia più inclusiva e diversa». Solo questo, aggiunge, garantisce che la scienza sia uno strumento per «costruire politiche a vantaggio di tutti». Ma è proprio L’inno alla «diversità» che fa drizzare i capelli ad alcuni, come il famoso scienziato cognitivo (bianco) Stephen Pinker, che è fra chi attacca la Marcia perché «nuoce ai propri obiettivi» con la sua «retorica di sinistra hard».

ANCHE IN ITALIA gli scienziati si sentono chiamati in causa. Lamentano che la politica finanzi poco e male la ricerca e che ne sminuisca l’indipendenza. E che i media vogliano entrare illegittimamente, dicono, nel dibattito scientifico senza comprenderlo. Report e vaccino contro il papillomavirus ne è solo l’ultimo esempio, ma fra gli innumerevoli altri ricordiamo il caso Stamina.

La questione però è più complessa, come evidenzia l’ultima ricerca della Fondazione spagnola per la scienza e la tecnologia (Fecyt) (ma risultati analoghi valgono per il resto del continente): se da un lato medici e scienziati sono le professioni meglio valutate, e più della metà degli spagnoli dichiarano che la scienza fornisce più benefici che danni, è anche vero che il 53% delle persone ha fiducia nell’omeopatia (la cui efficacia non è mai stata dimostrata) e che fra quelli che ci credono, sono maggioranza le persone istruite e di sinistra. La società, certo, e la politica devono ascoltare di più gli scienziati. Ma c’è bisogno che anche gli scienziati inizino a cambiare le loro chiavi di lettura del mondo.