A meno di tre settimane dal primo turno, la Guyana fa irruzione nella campagna. Ieri, il primo ministro Bernard Cazeneuve ha riunito il governo quasi al completo per trovare una risposta al “niet” che i “500 fratelli”, il gruppo dei leader della protesta nel dipartimento d’oltremare che si presentano con il volto coperto da un passamontagna nero, ha opposto alla proposta di Parigi per uscire dalla crisi che dura da due settimane: più di 1 miliardo di euro di investimenti pubblici – ospedali, scuole, strade, trasporti pubblici – e interventi per rispondere ai seri problemi di insicurezza (la protesta ha origine in una serie di fatti di sangue). La Guyana pero’ chiede di più per togliere i “blocchi” che paralizzano da giorni tutta la vita del dipartimento: vuole altri 2,5 miliardi “subito”, una richiesta “non negoziabile”. Ma “irrealista” secondo Cazeneuve, che ieri ha confermato il “piano d’emergenza”, con interventi in vari settori dell’economia, dalla pesca all’agricoltura ai trasporti oltre che nella sanità, scuola, polizia e giustizia, ma niente di più, invitando a togliere “i blocchi, perché non è cosi’ che si prepara l’avvenire”.

Dopo alcune “giornate morte” e molte manifestazioni, fortemente represse quando si sono avvicinate troppo alla base spaziale di Kourou, le domande della Guyana sono state raccolte in un cahier des doléances di più di 400 pagine, presentato ai ministri degli Interni e dell’Oltremare, Mathias Fekel e Ericka Bareigts, che nel fine settimane hanno incontrato a Cayenna i rappresentanti degli abitanti.

Finora, la Guyana ha avuto solo un ascolto molto distratto da parte dei candidati, Emmanuel Macron per esempio ha dovuto giustificarsi per la gaffe di averla definita “un’isola”. La Guyana, 252mila abitanti, dipartimento francese dal ’46 grande piùo meno come il Portogallo situato in America del sud, confina con il Brasile e il Suriname. Questa lunga frontiera ha favorito l’arrivo di richiedenti asilo (8mila nel 2016) e di immigrati illegali. La protesta è esplosa da una quindicina di giorni.

All’origine c’è stata una mobilitazione del padronato, in particolare nel trasporto, che sta pagando una diminuzione della domanda pubblica e ritardi nei pagamenti. Poi la protesta si è estesa praticamente a tutti i settori della vita pubblica. “Nou bon ké sa” (“basta”) è stato lo slogan federatore delle manifestazioni. “Basta” rivolto da tutti a un po’ di tutto: di non avere una scuola al livello di quella della Francia metropolitana (a partire dai problemi della lingua), di non avere ospedali funzionanti, di subire un’insicurezza costante in un ambiente economico in crisi, che non ha tratto vantaggi dalla presenza della base di lancio dei razzi Ariane a Kourou. E anche contro i politici locali che ormai hanno abbassato le braccia (anche la più famosa, l’ex ministra Christiane Taubira, è intervenuta solo al margine in questi giorni di crisi in Guyana).

Alla testa del movimento si è formato un gruppo difficile da indentificare: sono i “500 fratelli contro la delinquenza”. Si presentano con il volto coperto da un passamontagna nero (ma i ministri hanno imposto di negoziare a volto scoperto). Uno dei leader, Mickaël Mancée, è un poliziotto che si occupa di giovani delinquenti. Cazeneuve afferma che “i tre quarti delle richieste” sono state accolte. “Il governo ci deve le infrastrutture che hanno tutti gli altri dipartimenti francesi”, risponde Mancée. E aggiunge: “il razzo Ariane resta a terra fino a quando la Guyana non decolla”. Ma anche in Guyana sanno che tra poche settimane il governo Cazeneuve non ci sarà più.