Continuano da più di un mese in Bielorussia le rivolte contro l’esito delle elezioni presidenziali. Il regime resiste (Alexander Lukashenko è stato addirittura «celebrato» in clandestinità) e, così stando le cose, temo che la gente finirà per arrendersi.

L’agenda delle rivendicazioni politiche delle/i cittadine/i bielorusse/i rimane costante: dimissioni del presidente illegittimo; fine della violenza contro i civili; rilascio dei prigionieri politici e nuove elezioni.

Obiettivi per cui le/i bielorusse/i continuano a scendere in piazza nonostante una violenza di Stato senza precedenti: a oggi sono state arrestate quasi 13.000 persone tra donne e uomini senza distinzione. In seguito alla marcia di solidarietà delle donne, erano state fermate 430 persone. Chiunque protesti rischia di essere picchiato, detenuto, multato, aggredito e perseguitato. Le autorità non risparmiano l’uso di mezzi coercitivi minacciando licenziamenti e sequestrando i figli di chi partecipa alle proteste, posti in «custodia» in strutture per l’infanzia.

La crescente repressione non sembra, tuttavia, sortire l’effetto sperato, anzi, spinge alla mobilitazione anche chi non è mai stato un attivista. In altre parole, si tratta di una vera resistenza di massa che, nonostante le differenze di genere, classe, età, religione, professione è aggregata da obiettivi politici comuni. Una delle caratteristiche distintive della rivoluzione bielorussa, com’è stato già detto, è il suo «volto di donna». Perché le donne giocano un ruolo così importante in questo movimento di protesta?

Per comprendere l’emergente soggettività politica delle donne bielorusse, è necessario tornare agli inizi della campagna elettorale e rispondere al perché «le donne mettono in discussione» il sistema di potere di Lukashenko solo ora (dopo 26 anni di regime). In un discorso pre-elettorale rivolto all’Assemblea nazionale, Lukashenko ha detto: «La Bielorussia è la mia amante. E per questo non la lascerò andar via».

«Non ci può essere amore a comando. Va via!» è stata la risposta delle donne.

Si tratta di affrontare il rapporto tra patriarcato e autoritarismo.

Già nei mesi precedenti, volti femminili della scena politica bielorussa avevano attirato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, tra tutte il viso di Eva, un dipinto del famoso artista modernista ebreo-francese di origine bielorussa Chaim Soutine. Quando l’ex amministratore delegato di Belgazprombank e principale oppositore di Lukashenko, Viktor Babaryko, fu arrestato sotto false accuse, insieme a lui fu «imprigionata», vietandone l’esposizione pubblica, anche la collezione d’arte della sua banca. Taciturna ma ostinata, ormai prigioniera politica, Eva (Eвалюция)  diventa, così, il nuovo simbolo iconico delle proteste di cui la pacifica «rivolta di massa» assume il nome in segno di solidarietà e speranza. Sarà lei la prima donna a unire i bielorussi contro lo stato di polizia di Lukashenko.

La vera EVAlution, in effetti, era già iniziata lo scorso 16 luglio, lo storico giorno in cui apparvero sulla scena politica bielorussa i corpi delle donne. Fu la straordinaria immagine di tre donne che avevano deciso di far convergere le proprie campagne elettorali intorno a un’unica candidata per abbattere la dittatura e attirare l’attenzione dei media internazionali. Si trattava di Svetlana Tikhanovskaya, la candidata indipendente ufficiale, subentrata al marito anch’egli arrestato sotto falsa accusa e tuttora detenuto; Maria Kolesnikova, musicista e art manager, responsabile della campagna presidenziale di Viktor Babaryko, dopo il suo arresto e a quello del figlio (organizzatore della campagna); Veronica Tsepkalo, IT manager e moglie del candidato Valery Tsepkalo, l’ex direttore dell’Hi-Tech Park costretto a lasciare il paese a causa delle pressioni contro di lui e la sua famiglia. Lukashenko era in trappola: si trovava a competere per la presidenza con donne forti, indipendenti e carismatiche che sceglievano di esprimere il disaccordo con il regime, invece di rimanere in silenzio all’ombra di candidati maschi.

Alexander Lukashenko ha sempre dichiarato quanto il sostegno delle donne fosse decisivo per la sua elezione. In effetti, esse hanno a lungo costituito il pilastro sociale dell’autoritarismo bielorusso. Quanto radicalmente sono cambiate nella scorsa primavera-estate da costringere il presidente in carica a non fare più affidamento sulla loro lealtà?

Nei 26 anni della sua presidenza, Lukashenko non ha colto l’ingresso di una nuova generazione sulla scena politica. Le donne ormai vivono in un mondo globalizzato e digitale, condividono altri valori, hanno una visione diversa delle loro prospettive. Anche se non tutte si considerano femministe, la maggior parte rifiuta la concezione primitiva del presidente sul ruolo sociale delle donne. Esse non vogliono più essere appendice di un sistema estraneo: il loro orizzonte non è più «cucinare il borshch» (come Lidia Yermoshina del Comitato elettorale centrale consigliava dieci anni fa alle attiviste), ma la partecipazione concreta alla creazione di un nuovo quadro politico in favore della loro auto-realizzazione professionale e personale. Nel difendere i propri diritti, le donne bielorusse stanno dicendo al regime: tu non ci rappresenti! E non immagini nemmeno chi siamo! (come disse il movimento Occupy Wall Street nel 2012). In sostanza non sono più la base elettorale di Lukashenko. La sfera pubblica che si era costituita nell’era dei vecchi media, era dominata dagli uomini. Lo sviluppo delle nuove tecnologie, invece, ha notevolmente indebolito le norme patriarcali che impedivano alle donne una partecipazione attiva. L’80% delle bielorusse (dai 16 ai 72 anni) utilizza attivamente internet e molte esprimono la loro opinione attraverso Twitter, VK, Youtube, Instagram, FB e altri social – invece che attraverso la vecchia televisione di regime

Le tre donne che hanno sfidato il governo di Lukashenko rappresentano, dunque, questa nuova bielorussia: emancipata, urbana, istruita, socialmente e culturalmente diversa. Durante questa campagna elettorale, il triumvirato femminile e il suo elettorato si sono affidati ai social per organizzare incontri, promuovere la loro campagna, rafforzare la solidarietà tra la gente comune e, soprattutto, per informare sulle frodi elettorali (le piattaforme online sono Golos-Voice, Zubr, Honest people, ecc.). Il tratto distintivo di EVAlution è stato sin dall’inizio la ferma decisione delle candidate e dei loro sostenitori di agire nell’ambito della legalità. Colpisce, appunto, il contrasto tra la brutale violenza dell’apparato repressivo statale e la manifesta strategia nonviolenta del movimento.

Quando il 12 agosto, dopo tre giorni di spaventosa violenza di Stato, catene di solidarietà formate da donne vestite di bianco con fiori in mano hanno riempito le strade di tutte le città, si sarebbe potuto credere a un gesto di impotenza, a una debolezza della subordinazione femminile. Fu, invece, l’indicatore di una nuova cultura politica legalitaria.

Il totale disprezzo del regime per la legge unito all’illimitato potere dell’apparato repressivo sono apparsi in modo evidente come non mai negli eventi seguiti al 9 agosto: le autorità hanno creduto di poterla fare franca ancora una volta. Ma Lukashenko e il suo entourage erano ignari di quanto fosse cresciuto il livello di cultura giuridica tra la gente comune nel corso degli ultimi mesi. Le persone ormai sono preparate a difendere i propri diritti civili, comprendono la necessità di tutelare la Costituzione e il principio della separazione dei poteri, sanno redigere istanze ai tribunali ed esigere che le autorità rispettino la legge. In seguito al terrore scatenato dopo le elezioni, in sintesi, la gente si rifiuta di fare concessioni a un regime basato sulla normalizzazione dell’illegalità.

Naturalmente anche la vecchia opposizione considera inconcludente e inefficace il «percorso delle donne» verso la libertà, convinta che il sistema autoritario non possa essere distrutto senza una resistenza organizzata di piazza. Tuttavia, le donne hanno scelto una strategia diversa: hanno compreso che il loro compito è preparare le condizioni tra i diversi gruppi sociali per i futuri cambiamenti democratici, in modo che ognuna/o si senta coinvolto nel processo di costruzione della nuova democrazia, unendo così gli individui atomizzati dalla dittatura.

La campagna elettorale di Tikhanovskaya è stata straordinariamente brillante, colorata, creativa; ha coinvolto le persone in una gioiosa atmosfera di festa riproposta anche in questi giorni, nonostante dolore e paura.

L’unica bielorussa che abbia mai ricevuto un Nobel (per la letteratura 2015), Svetlana Alexievich, ha recentemente affermato che: «Le donne si sono rese conto di dover agire. Ora potranno dire ai propri figli: abbiamo fatto tutto il possibile».

 

Cosa sta succedendo quindi? Dal giorno dopo le elezioni, Svetlana Tikhanovskaya, costretta all’esilio a causa delle minacce di morte, rappresenta i bielorussi sulla scena politica internazionale. Anche Veronika Tsepkalo è stata costretta a lasciare il paese. Maria Kolesnikova invece è stata arrestata dopo aver fatto a pezzi il passaporto al confine con l’Ucraina, impedendo, così, al KGB di costringerla all’esilio: è diventata l’eroina di un intero popolo mentre i suoi avvocati sono stati arrestati uno dopo l’altro. Il Consiglio di coordinamento organizzato da Svetlana Tikhanovskaya e dalle sue compagne, però, continua a operare per facilitare la transizione democratica: il numero dei suoi membri è in continuo aumento nonostante la repressione delle autorità che arresta o spinge all’esilio la maggioranza dei suoi membri. Solo Svetlana Alexievich e un’altra persona sono riuscite a restare.

Nel frattempo, le catene e le marce di solidarietà continuano ovunque ogni giorno. Donne di età diverse scendono in piazza senza leader che le mobilitino. Molti sono ormai i volti femminili simbolo del movimento. La settantatreenne Nina Baginskaya, che si cuce la bandiera da sola, «Sto camminando!» ha urlato alla polizia antisommossa che tentava di fermarla, facendolo diventare uno degli slogan della protesta.

 

I bielorussi sconfiggeranno il regime, anche se richiederà tempo, molto coraggio ed energia. Le donne hanno costruito il loro spazio politico e sono pronte a lottare fino alla vittoria.

Ci sono alcune questioni sul futuro di una nuova Bielorussia democratica, però, che meritano di essere approfondite.

Le donne che hanno cambiato il volto della politica bielorussa in questi giorni rimarranno attive anche dopo il crollo del regime?

Gli elettori saranno pronti a considerare soggetti politici autonomi Tikhanovskaya, Tsepkalo, Kolesnikova insieme alle altre attiviste senza ricondurle alla posizione di candidato tecnico, casalinga, buona madre di famiglia o di chi può occuparsi solo di questioni «squisitamente culturali»?

E, last but not least: l’attuale fase politica porterà a una ridefinizione del sistema di potere che dia voce alle donne?

Il nuovo governo porrà l’integrazione di genere come una delle priorità della nuova Bielorussia?

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Almira Ousmanova è professore nel Laboratorio di Studi di Cultura Visuale e Arte Contemporanea del Dipartimento di Scienze Sociali a Vilnius, Lituania. Fino al 2004 insegnava nella European Humanities University di Minsk, che venne chiusa dalle autorità bielorusse, ma continua a essere attiva nella EHU, attualmente “università in esilio” in Lituania. Come studiosa di cultura visuale, ha lavorato su storia e teoria del cinema nell’epoca digitale, sul cinema sovietico e sulla storia di genere nelle arti visive. Ultimamente ha scritto sulle componenti visive della protesta in Bielorussia, le loro rappresentazioni in vari media e il ruolo che hanno avuto le immagini trasmesse la formazione di una nuova comunità nel 2020. Fa parte del comitato scientifico del International Journal of Cultural Research. Tra le sue pubblicazioni: The Anthology of Gender Theory (Minsk: EHU Press: Propilei, co-editor E.Gapova); Gender Histories of  Eastern Europe (co-editors E.Gapova and A.Peto).