Lo scenario dei negoziati tra il governo britannico e l’Unione Europea sembra finalmente lasciare spiragli, in Irlanda, a una soluzione dell’impasse che non preveda l’imposizione di una frontiera materiale tra la repubblica e il Nord. Tuttavia, a giudicare dalle reazioni sul campo, riserve e scetticismo accompagnano le varie dichiarazioni di cauto ottimismo che trapelano in questi giorni.

IL DUP, partito di maggioranza nel nord e principale rappresentante politico della comunità unionista, tra le aperture recenti mostra infatti ancora una certa prudenza e ritrosia nel commentare gli ultimi sviluppi. La leader Arlene Foster ha chiarito che non sosterrà mai misure che «intrappolino l’Irlanda del Nord nell’Unione Europea». Dalle seconde file del partito si alzano altre voci contrarie. Il deputato a Westminster Jim Shannon, ad esempio, riassume così la questione del doppio binario doganale, con la contestuale assenza di un confine fisico tra nord e sud dell’isola: «La questione è semplice. Saremo trattati ugualmente all’Inghilterra? No, quindi non la accetteremo».

SINN FÉIN pare invece cavalcare l’onda di un qualche entusiasmo. La leader del partito, Mary Lou McDonald chiede «garanzie legali e durature» e ricorda che «qualunque accordo deve includere, come ultima ratio, il backstop e la protezione degli Accordi del Venerdì Santo». Secondo quegli accordi, qualora se ne verificassero le condizioni, il segretario di stato britannico per l’Irlanda del Nord dovrebbe indire un referendum sulla riunificazione con il resto dell’isola.

È sull’idea di un referendum che si concentrano i commenti dei massimi rappresentanti di Sinn Féin in questi giorni. La responsabile per il Nord, Michelle O’Neill ha spiegato a Bruxelles che «la prospettiva di un referendum sull’unità dell’Irlanda nel prossimo futuro deve figurare come parte integrante nelle negoziazioni attuali tra la Ue e il governo britannico». Ha poi aggiunto che «la Ue deve farsi sentire sia politicamente che tramite la sua diplomazia con il governo britannico affinché siano rispettati gli obblighi imposti dagli Accordi del Venerdì Santo e facilitare così il principio di auto-determinazione tramite l’indizione di un referendum». Questo poiché gli irlandesi «hanno il diritto di scegliere tra la Brexit e la riunificazione».

È una prospettiva fortemente caldeggiata anche dalla cosiddetta greater Ireland, soprattutto negli Stati Uniti, e il fatto che proprio da ambienti americani siano giunti segnali chiari al governo britannico di non cedere al ricatto unionista, sembra aver fatto breccia nella volontà di Boris Johnson di mostrare una certa flessibilità negli ultimi giorni. Secondo Stephen O’Neill, ricercatore di Belfast della University of Notre Dame, in Indiana, «l’Irlanda unita sarà il mantenimento della promessa di democrazia per le isole britanniche e irlandesi, ma è anche la sola e ultima soluzione a una Brexit imposta ai cittadini del nord».

SI MOLTIPLICANO sui giornali inglesi le voci e i commenti di esperti vicini ai conservatori, riguardanti l’insostenibilità economica del mantenimento dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito. David Green, il direttore del Think Tank Civitas sottolinea come non si discuta mai abbastanza del fatto che «mantenere» finanziariamente l’Irlanda del Nord costi di più alle casse britanniche che rimanere nell’Unione europea. Suggerisce quindi di stabilire il confine doganale al largo del mare irlandese come soluzione all’impasse. L’esperto aggiunge che «se il Dup continua a opporsi a questa soluzione ovvia, un referendum sulla riunificazione dell’Irlanda resta l’opzione più praticabile per tutti».

Parole che rimestano le paure e le preoccupazioni segrete dalle frange più oltranziste del lealismo. Se la posizione ufficiale dei paramilitari dell’Ulster Defence Association (Uda) appare essere di cauto attendismo, è dalle frange mai smilitarizzate del movimento che provengono le prime minacce di disobbedienza civile.

In un commento raccolto dal Belfast Telegraph nella giornata di sabato, un membro della Uda di cui non si fa il nome ha dichiarato: «Boris Johnson ha ingannato i lealisti nordirlandesi. Il Dup non dovrebbe essere il suo unico interlocutore».

Parole a cui fanno eco alcune dichiarazioni di un noto rappresentante del lealismo, Robert Girvan, il quale ha evocato persino la possibilità di attacchi terroristici nel sud dell’isola.

Inoltre, un noto e controverso blogger lealista, Jamie Bryson, rincara la dose aggiungendo che «qualora l’Irlanda del Nord si allinei alla Repubblica, le proteste delle bandiere del 2013 sembreranno una passeggiata». Il riferimento è alla decisione del municipio di Belfast, presa nel dicembre del 2012, di limitare il numero di giorni in cui la bandiera britannica sarebbe stata esposta sulla City Hall. Seguirono proteste e scontri con la polizia che fu costretta a rispondere con idranti e proiettili di plastica.

Gettano invece acqua sul fuoco i politici unionisti più moderati come Jeffrey Donaldson, o Doug Beattie. Ma è un dato di fatto che la comunità lealista sia in subbuglio, soprattutto dopo le ultime esternazioni di rappresentanti dei Tories, secondo cui l’Irlanda del Nord comincia a essere un fardello troppo gravoso per il Regno Unito. L’idea di rinunciare per via di questo ostacolo alla presunta indipendenza che la Brexit garantirebbe, non sembra più essere un opzione praticabile.