Gli studiosi del diritto privato non possono più fingere di non vedere. La decennale crisi economica non è un incidente in un percorso lineare, quello della crescita economica, ma piuttosto il raggiungimento di un punto di saturazione che l’antropocene ha prodotto. E’ una nuova grande trasformazione, che proprio come quella studiata da Polanyi ha cause principalmente tecnologiche.

Tanto il punto di saturazione quanto la nuova grande trasformazione ci interrogano su due tabù del civilista. Prima di tutto il ruolo della giustizia distributiva, messa ai margini fin dal primo razionalismo giuridico e mai considerata tema che riguarda il diritto privato. Inoltre, la separazione ontologica fra soggetto ed oggetto in cui il primo (l’ umano) si relaziona col secondo (il materiale) con il giurista che svolge tradizionalmente il ruolo di arredatore del mondo (o organizzatore del traffico), oggi sempre più anche il soggetto è merce e il comodo lido del positivismo scientifico sembra più un utopia che un approccio teorico rispettabile.

Sono queste condizioni “al contorno” che obbligano alla riflessione di base, un’ attività in cui i giuristi si cimentano di rado, soprattutto collettivamente.

In primo luogo, si registra il fallimento dei vari tentativi di metter mano a qualcosa di simile ad una codificazione europea che si sono succeduti con diversa intensità dal 1989 (annus horribilis a causa della nascita del pensiero unico). I vari progetti di soft law i non hanno mostrato alcuna capacità di utilizzare in modo critico il sapere comparativo che lentamente è emerso e si sono allineati in modo umiliante con la vulgata neoliberale. In secondo luogo, già Germania e Francia, solo per citare gli esempi più noti, hanno messo mano a importanti ricodificazioni interne. Progetti peraltro per nulla in grado di emanciparsi dal regime di conoscenza neoliberale.

In terzo luogo, di fronte a tanta povertà critica nella dottrina europea tradizionalmente più prestigiosa, ecco che l’ opportunità per la nostra civilistica diventano notevoli. Infatti in Italia il tentativo di ricodificazione civile settoriale della Commissione Rodotà i materia di beni, ancorché arenatosi per mancanza di gambe politiche, ha provocato una tale attenzione interna ed internazionale principalmente sulla materia dei beni comuni, da aver collocato la dottrina italiana in una posizione particolarmente adatta per proporre cambiamenti ambiziosi e critici.

Ciò sarà possibile ovviamente qualora i temi proposti siano di sufficiente radicalità (nel senso etimologico del termine) da costituire una reale alternativa sistemica all’ attuale stato delle codificazioni civili, spine dorsali del capitalismo estrattivo, che occorre urgentemente superare.

Occorre riflettere sulla nuova ideologia necessaria per il superamento del capitalismo estrattivo e sulle tecniche di codificazione più idonee ad implementarla nei rapporti fra privati, ponendo le basi per un diritto civile generativo di rinnovati rapporti sociali.

I tempi delle grandi trasformazioni culturali del diritto sono lunghi. Oggi ci sembrano maturi quelli per iniziare a lavorare ad una quarta globalizzazione, per usare la fortunata griglia interpretativa di Duncan Kennedy. La seconda globalizzazione, quella del sociale, le cui esigenze furono interpretate dall’ enciclica Rerum Novarum a fine ottocento, in Italia produsse negli anni trenta il grande dibattito sulla funzione sociale della proprietà privata nella codificazione civile. La nostra codificazione fascista non ha poi saputo interpretare in pieno quelle esigenze, ma il dibattito è stato fra quelli più interessanti e provveduti e il nostro Codice ha partecipato a pieno titolo al tentativo di compromesso fra le ragioni della produzione e quelle della tutela della persona.

La terza globalizzazione e le controriforme neoliberali del diritto hanno fatto percorrere molto terreno a ritroso, sicché e non più soltanto la produzione ma direttamente la rendita sono assurti a principi generali come da più parte messo in evidenza. Una nuova enciclica tuttavia, la Laudato Si indica la via ed i principi per una quarta globalizzazione del diritto civile, quella ecologicamente consapevole dei guasti forse irreversibili prodotti dall’ antropocene. Ecco dunque una traccia di lavoro collettivo. Un diritto civile che con tutte le sue categorie ha efficacemente determinato la trasformazione dei beni comuni in capitale (in un mondo di beni comuni eccedenti e capitale scarso) deve ora attrezzarsi per iniziare il cammino opposto in questo nostro mondo in cui l’ eccedenza dei capitali è sotto gli occhi di tutti.

Le giornate in memoria di Stefano Rodotà si svolgono a Torino, presso l’università degli studi Carlo Aberto, dal 15 marzo al 18 marzo.