Giurista di formazione, a lungo archivista presso l’Archivio Centrale dello Stato e, infine, docente universitario di Storia contemporanea, Claudio Pavone è stato un intellettuale fuori dall’ordinario. Sono passati tre anni da quando ci ha lasciati. Per ricordarlo, l’Istituto nazionale Ferruccio Parri aveva organizzato nel 2017 due giornate di studio, delle quali sono stati pubblicati gli atti nel volume Mestiere di storico e impegno civile. Claudio Pavone e la storia contemporanea in Italia, a cura di Marcello Flores (Viella, pp. 228, euro 24). Il libro contiene quattordici contributi di studiosi che, in tempi e luoghi diversi, sono entrati in contatto con Pavone. Come spiega Guido Crainz, l’Istituto nazionale di Milano è stato un punto di riferimento per lo storico romano che ha fatto parte del suo Consiglio direttivo, ha collaborato alla Guida degli archivi della Resistenza, e contribuito alla fondazione dell’Irsifar a Roma.

TUTTAVIA, ha scritto Enzo Collotti, si può dire che la sua opera storiografica sia «uscita, ma anche fuoriuscita» dagli istituti, con i quali il rapporto non fu sempre semplice. Nel suo documentato contributo, Mirco Carrattieri ne illustra l’evoluzione e i contrasti latenti dopo l’uscita di Una guerra civile, che infiammò il dibattito politico e culturale nei primi anni Novanta. Siamo nel pieno della crisi della Repubblica dei partiti e degli attacchi alla cosiddetta vulgata antifascista. Come emerge dalla ricostruzione di Nicola Labanca, la ricezione del libro non fu solamente «fuori dal comune», ma anche oggetto di strumentalizzazioni politiche che, di fatto, ne riducevano e distorcevano la ricchezza.

COMPLICE anche la scelta editoriale del titolo, che celava la tesi delle tre guerre (di liberazione, civile, e di classe), lo scontro si concentrò sulla legittimità della categoria «guerra civile», già cara alla destra, e che alcuni ambienti della sinistra non volevano fosse sdoganata. Nello stesso tempo, proseguiva anche la discussione intellettuale e storiografica, a sua volta parzialmente sovrapposta a quella politica.

L’ENTUSIASMO della generazione più giovane di studiosi era la spia di un cambiamento di sensibilità di cui oggi cogliamo a pieno la profondità. Era chiaro, per chi avesse voluto intendere, che il cuore del libro di Pavone era richiamato da quel sottotitolo, «Saggio storico sulla moralità nella Resistenza». E che la poderosa indagine apriva un cantiere di ricerca nuovo, anche dal punto di vista metodologico, sulle soggettività diversamente coinvolte nel conflitto.

UN VOLUME ECCEZIONALE, perché figlio della conoscenza storiografica e della sapienza archivistica dell’autore della Guida generale degli Archivi di Stato (si veda il saggio di Paola Carucci). Ma anche il risultato di un impegno civile, ripercorso puntualmente da Mariuccia Salvati. In La mia Resistenza, un pamphlet di carattere autobiografico pubblicato da Donzelli nel 2015, Pavone ha fatto luce sull’imprinting originario del suo coinvolgimento nella guerra partigiana; su quell’«aggrovigliato nodo del rapporto fra religione, socialismo e libertà» che, in forme diverse, spiega Vinzia Fiorino, continuerà a interessarlo nelle sue ricerche da storico. Per Pavone, fare storia contemporanea era anche un modo per riflettere sul presente. E, in questa luce, si possono leggere anche gli studi sul rapporto tra Resistenza e Risorgimento; sulla continuità dello Stato dal fascismo alla Repubblica, argomento di un primo saggio influenzato dalle parole d’ordine del 68; e poi sulla violenza partigiana, su cui iniziò a riflettere, non casualmente, dopo la fine della stagione della lotta armata.

Luigi Ganapini e Labanca concordano nel sostenere che ancora oggi la lezione di Pavone non sia stata «del tutto assorbita». Come riferisce Philip Cooke, l’uscita nel 2013 della prima traduzione in inglese di Una guerra civile ha aperto una vivace discussione internazionale. Agostino Bistarelli e Isabella Insolvibile suggeriscono nuove piste di ricerca e fanno riferimento al cantiere di studi che si è sviluppato sul fondo archivistico Ricompart del Ministero della Difesa, che conserva la documentazione relativa al riconoscimento delle qualifiche e delle ricompense ai partigiani. Mentre oggi la stagione politica scaturita dalla Resistenza sembra così lontana, la questione della moralità, che Pavone ha coraggiosamente consegnato alla storiografia, rimane attuale. Una chiave di volta per comprendere la guerra partigiana, e per tramandare la sua eredità più profonda, più problematica, ma anche più alta.