Una manifestazione come non si era mai vista, né letteralmente sentita, a memoria di manifestante. «Per la cultura e per il lavoro» sono scesi ieri in piazza (ed erano in miglia nonostante la pioggia) i lavoratori dell’intero comparto culturale, nel senso più ampio. Gli stessi organizzatori si presentano come «attori, archeologi, antropologi, bibliotecari, professori d’orchestra, artisti del coro, diagnosti, autori, operatori museali, televisivi, archivisti, ballerini, tecnici, storici dell’arte, registi, musicisti, editori e tanto altro ancora».

Hanno sfilato da Porta san Paolo fino a Trastevere le categorie più diverse, dagli archeologi di Cagliari ai professori d’orchestra dell’Arena di Verona, con gli strumenti in spalla nelle loro custodie. Così come unite erano per una volta tutte le rappresentanze sindacali, dalle Usb alla Cgil, dagli autonomi della Cisal alle più specifiche e piccole sigle di lavoratori. E tutti insieme hanno rivolto un applauso lungo e significativo all’intervento di solidarietà della segreteria Fiom.
L’appuntamento davanti alla Piramide sotto una pioggia battente ha fatto temere il peggio, ma all’ora prevista è stato come se un ottimo datore luci sia riuscito a far uscire il sole, e il corteo è potuto partire. Con molta allegria, rabbia, e una specifica accentuata fantasia che hanno fatto risuonare slogan e versacci e richieste irresistibili, prima ancora che sacrosante.

«Lotta dura senza paura» aveva la sua rima naturale «per la cultura», ma gli attori abituati allo sfruttamento di esser spesso pagati solo per i giorni di andata in scena, modulavano sul ritornello suadente di Guantanamera «anche le prove, pagate anche le prove», Del resto, gridavano ancora, «lavorare non è volontariato / senza salario vacci tu». Ma ci sono stati nel corteo momenti che son parsi «storici», oltre che emozionanti. Come quando si è alzata una versione (perfetta da lasciare attoniti, ça va sans dire) di Bella Ciao. Gli altri intorno hanno quasi taciuto prima di unirsi al coro, partito dai coristi dietro lo stendardo del Teatro alla Scala.

Allegria e consapevolezza che hanno avuto come cardine ispiratore l’articolo 9 della Costituzione, quello che recita proprio: «La repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». E’ la legge fondamentale, anche in questo punto disattesa. Non mancavano negli striscioni e cartelli attacchi piuttosto duri agli ultimi governi: per primo Franceschini naturalmente, ma anche tutta quella trafila politicante che ha fatto insinuare la gestione privatistica fin negli snodi più delicati della gestione culturale. Che non è solo lo spettacolo dal vivo, e la sua moltiplicazione tecnologica, ma anche e perfino l’amministrazione stessa dell’infinito patrimonio artistico che l’Italia possiede. Insomma l’Articolo 9 suonava richiamato e fondante, questa volta, più del compianto Articolo 18.

Del resto, quello che dovrebbe essere un settore trainante dell’economia italiana, proprio la cultura, non viene neppure nominata dei provvedimenti economici appena sfornati dal governo. I lavoratori in piazza chiedono che vi venga investito l’1,5 per cento del Pil (come la media europea), visto che proprio quel variegato e frantumato settore sotto attacco, produce ogni anno un giro economico di 250 miliardi. E chiedono finalmente un riconoscimento delle loro mansioni, la fine del lavoro nero o sottopagato, quando non viene fatto passare per «volontario». Insomma richieste minime e di buon senso, ma in direzione assolutamente contraria a quelle dei governi di oggi e di ieri. Sono richieste di diritti quasi «minimali», ma che oggi paiono fantascientifici.

Quando il corteo è arrivato in piazza, il benvenuto lo hanno dato Giovanna Marini e i suoi cori scatenati della Scuola del Testaccio: «Nostra patria è il mondo intero / nostra legge è la libertà». E quando l’artista nomina per solidarietà il sindaco di Riace, è tutta la piazza a ritmare una lunga ed energica salva di «Mim-mo, Mim-mo». Così come un’ovazione riceve anche la ballata dei primi del ‘900 sul crack delle banche. Ma non sono finite le sorprese davanti all’impassibile facciata neoclassica della Manifattura tabacchi.

Si succedono gli oratori , alternati però a interventi di altro tipo, e non meno vibranti. Un ensemble di maestri provenienti da teatri diversi (dalla Fenice al Regio di Torino, dal Massimo di Palermo all’Opera di Roma) si allea per intervenire con Mozart, Eine kleine nachtmusik! E non sono da meno i coristi, anche loro in un potente ensemble improvvisato che trascina anche qualche manifestante a cantare Va pensiero! Cui rispondono le voci femminili Noi siamo zingarelle dalla Traviata. Per un momento sembra realizzarsi un sogno che è anche un buon auspicio: lasciar guidare davvero la politica (e il paese, e la vita dei cittadini) dalla cultura, e dalle sue meraviglie.