In materia di diritti umani non esiste alcun «relativismo giuridico», e men che meno – malgrado il concetto sia ostico perfino per una certa “sinistra” – «relativismo culturale». Lo afferma a chiare lettere la procura di Brescia che ieri si è dissociata dalla richiesta di assoluzione, così come è stata formulata davanti al giudice da un loro collega, il pm Antonio Bassolino, per un uomo del Bangladesh accusato dalla giovane moglie di maltrattamenti, violenze e perfino uno stupro, commessi nei sei anni di matrimonio a cui la donna, bengalese ma cresciuta in Italia, sarebbe stata costretta. In una nota, la Procura di Brescia, per voce del suo capo Francesco Prete, si dissocia dal pm e «ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti estranee alla nostra legge ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento “culturale”, nei confronti delle donne».

Il chiarimento si è reso necessario non tanto per le motivazioni giuridiche sostenute dal pm ma soprattutto per le parole con le quali Bassolino aveva chiesto prima, in fase istruttoria, l’archiviazione del caso – richiesta rifiutata però dal gip che aveva stabilito l’imputazione coatta del marito -, e poi l’assoluzione dell’uomo nato e cresciuto in Bangladesh. Secondo la pubblica accusa infatti, la vittima – di 27 anni e con due figlie piccole, che nel 2019 aveva sporto denuncia contro il cugino che era stata costretta a sposare nel 2013 e che l’avrebbe sempre «tenuta in casa», indotta «al totale annullamento» e «trattata da schiava» – i maltrattamenti e le violenze, anche sessuali, non erano sufficientemente comprovati.

Ma in ogni caso, secondo il pm, «le condotte dell’uomo sono maturate in un contesto culturale che sebbene inizialmente accettato dalla parte offesa si è rivelato per costei intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono e che l’ha condotta ad interrompere il matrimonio». In sostanza, «i contegni di compressione delle libertà morali e materiali – ha detto in aula il sostituto procuratore Bassolino – sono il frutto dell’impianto culturale, e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia della medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura e che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine».

Affermazioni dalle quali il procuratore capo di Brescia ha preso le distanze sottolineando che «non possono essere attribuite all’ufficio nella sua interezza, ma solo al magistrato che svolge le funzioni in udienza». E contro le quali si è ribellata anche la presunta vittima 27enne: «Non posso pensare che in Italia sia permesso di fare del male in nome di una cultura in cui la donna non conta nulla e l’uomo può tutto su di lei», ha detto la giovane intervistata dal Giornale di Brescia che per primo ha sollevato il caso raccontando di come la giovane fosse stata, in Bangladesh, «venduta da un mio zio per 5 mila euro» al promesso sposo.

La destra cavalca il caso, naturalmente. E la sinistra tace. Dopo il consigliere lombardo di Fd’I Riccardo De Corato, ieri anche il forzista Maurizio Gasparri ha chiesto al ministro Nordio di inviare gli ispettori negli uffici della Procura di Brescia. Ma nella nota di ieri Prete assicura: «Le richieste di ispezioni ministeriali tese a verificare tale assunto ci lasciano assolutamente tranquilli, essendo tutti i magistrati dell’ufficio sicuri di avere sempre agito nel rispetto della legalità, secondo i parametri fornitici dalla Costituzione e dalla legge».