Haiti 12 gennaio: data cruciale. Anniversario del sisma e giorno in cui il mandato del Parlamento è scaduto. Da settimane i cittadini haitiani si battono nelle strade e nelle piazze per chiedere quelle elezioni che avrebbero dovuto essere convocate nel 2014 per rinnovare i seggi per 20 senatori, nel 2010 per i 112 deputati, nel 2011 per i 140 sindaci e nel 2012 per i 1140 rappresentati dei comuni. Gotson Pierre, giornalista haitiano, nominato da Reporters sans Frontière uno dei 100 eroi dell’informazione nel 2014 e animatore di AlterPresse e di Groupe Médialternatif sostiene che questa latitanza del governo nell’indire puntualmente le elezioni «rappresenta una grave lacerazione per la vita democratica. Stiamo avviandoci verso un esecutivo che governerà per decreto. Una strada che porta alla dittatura».

Sotto pressione per le manifestazioni che vanno avanti da settimane, e a poche ore dalla scadenza del mandato del Parlamento, il presidente Michel Martelly e alcuni partiti di opposizione hanno firmato, l’11 gennaio, un accordo «per un’uscita duratura dalla crisi». Il documento prevede la formazione di un Governo di unità nazionale i cui principali scopi saranno di «creare le condizioni per facilitare la celebrazione di elezioni libere, trasparenti e inclusive», «di costituire un nuovo Consiglio elettorale formato da nove persone, in cui siederanno rappresentanti delle chiese cattolica e protestante, della religione vudù, del settore agricolo, delle organizzazioni femminili e impresariali, dei sindacati, della stampa e dell’Università» e in cui non ci sarà nessun membro del governo o dei partiti politici, e lavorare «per ristabilire la fiducia nelle istituzioni del paese».

Obiettivo questo che appare assai arduo data la crisi democratica, economica, ambientale che colpisce il paese da decenni. E rispetto alla quale il terremoto del 2010 ha rappresentato il colpo di grazia. Sostiene il giornalista Pierre che «gli aiuti post terremoto avrebbero potuto rappresentare un’opportunità, ma non si riesce a capire dove siano stati investiti i soldi. E’ stato ridotto a 100.000 il numero dei senza tetto, ma il problema dell’alloggio è centrale perché il sisma ha distrutto più di 240.000 edifici e ne sono stati ricostruiti 40.000. Molte famiglie sono ancora ricoverate in casa di parenti. Un programma del governo ha consegnato 400 dollari a famiglia per ricostruire ma con questa cifra si è edificato quartieri informali senza acqua, elettricità, fogne, infrastrutture. La politica economica del governo Martelly ha mantenuto una continuità rispetto agli esecutivi precedenti proseguendo con investimenti stranieri nel turismo, soprattutto resort, con la creazione di zone franche di libero commercio e non si è investito in settori prioritari come quello alimentare. Haiti importa alimenti». Su tutto questo veglia la Minustah. Presente nell’isola da 10 anni la missione Onu ha l’obiettivo di stabilizzare la situazione politica e garantire libere e democratiche elezioni ma ha evidentemente fallito i suoi scopi. «Spendono 50 milioni di dollari l’anno e non si nota alcun risultato – dice ancora il giornalista -. Avevano il compito di formare la polizia nazionale: quando sono arrivati nel 2004, avevamo circa 10.000 effettivi, dopo 10 anni sono 15.000. Pesa poi su di loro l’accusa di aver importato il colera nell’isola attraverso il contingente nepalese: 8.500 morti e 700.000 contagiati. E i familiari e le vittime hanno portato il caso davanti ad una Corte di New York, dove ha sede l’Onu, per chiedere che le Nazioni unite si facciano carico delle conseguenze e risarciscano le vittime».

E c’è da chiedersi se l’accordo dell’11 gennaio reggerà. Fanmi Lavalas, il più radicale partito di opposizione il cui leader è l’ex presidente deposto Jean-Bertrand Aristide, non si è unito al patto. Nei cortei delle scorse settimane i manifestanti gridavano «Preferiamo la guerra civile… l’incendio del parlamento… alla trattativa». Le macerie sono ovunque ad Haiti.