Mentre venerdì notte a Bruxelles funzionari europei ritiravano solennemente tutte le bandiere del Regno Unito dagli edifici comunitari, nello stesso momento sul Peñón, a Gibilterra, un solerte funzionario ritirava la bandiera europea che sventolava sulla linea della frontiera e la sostituiva con la bandiera del Commonwealth. Questo piccolo territorio di sei chilometri quadrati, infatti, è ormai un’enclave extraeuropeo in pieno territorio spagnolo.

Qui il 96% dei suoi 33mila abitanti votarono Remain al referendum. Da un lato, c’è una comunità autonoma con i tassi di disoccupazione più alti di tutta la Spagna, l’Andalusia, con picchi anche del 30% di persone senza impiego, come nella comarca di Campo de Gibraltar, che ingloba 8 comuni della provincia di Cadice e che circondano il Peñón. Dall’altro, c’è una forte economia con una disoccupazione all’1% e la cui manodopera viene però per il 60% dall’altro lato della sbarra che divide i due paesi. A Gibilterra tutti i beni di prima necessità sono importati dalla Spagna o via mare.

La Brexit rende nervosi sia il primo ministro gibilterriano Fabian Picardo che il presidente andaluso Juan Manuel Moreno Bonilla. Picardo ha cercato in tutti i modi di mantenere Gibilterra almeno nella zona Schengen, mentre il governo andaluso stima che la Brexit provocherà danni economici di un milione e duecentomila euro per la comunità.

L’incubo del 1969, quando Franco chiuse la frontiera costringendo a lunghissimi viaggi via mare per raggiungere l’Andalusia fa ancora paura. Ma le tensioni fra i due territori sono continuate anche in tempi recenti, soprattutto durante il governo del Pp. Cosa succederà esattamente una volta scaduti gli undici mesi di transizione non è chiaro. Il governo spagnolo e quello inglese già a marzo firmarono un accordo contro l’elusione fiscale (il tabacco è uno dei principali prodotti di contrabbando) e alcuni memorandum (che il parlamento spagnolo ratificherà la settimana prossima: finora, a camere sciolte, non era stato possibile) in attesa di un accordo complessivo, che tuteli i 370mila britannici in Spagna e i 180mila spagnoli nel Regno Unito.

Il negoziatore europeo Michel Barnier ha visto giovedì Pedro Sánchez e la ministra degli esteri Arancha González Laya, che gli hanno spiegato che le principali richieste di Madrid a Londra per il futuro sono di salvaguardare i diritti dei cittadini spagnoli che vivono in territorio britannico, evitare una concorrenza sleale, creare una stretta rete di collaborazione nel campo della sicurezza e della difesa e soprattutto l’accesso dei pescatori spagnoli alle acque britanniche, finora garantito a livello comunitario. Ma Madrid ha anche ricordato che, come prevedono gli accordi per la Brexit, l’estensione dell’accordo europeo con Londra a Gibilterra dipenderà esclusivamente dalla Spagna, se non lo considera lesivo.

I diritti dei 15mila lavoratori transfrontalieri sono al centro delle preoccupazioni. Una riunione a tre fra Madrid, Londra e Gibilterra si è già svolta nei mesi scorsi. Il primo giro di negoziati fra i comitati per l’implementazione dei memorandum è previsto per la fine del mese a Algeciras, a pochi chilometri dal Peñón. Ma tutto però dipenderà dalla volontà di Boris Johnson alla fine del periodo di transizione: se imporrà quote ai lavoratori europei, per i lavoratori andalusi a Gibilterra sarà un colpo mortale.