«Para la partida del amigo que nos devolvió la risa…» Fidel Castro piange ascoltando la canzone «El regreso del amigo», che il giovane musicista cubano Raul Torres ha dedicato alla morte del presidente venezuelano Hugo Chavez, il 5 marzo del 2013. «Chi avrebbe mai pensato, dopo la caduta del campo socialista e il buio in cui eravamo precipitati che sarebbe nato un Chavez – ha detto Castro al funerale del amigo – invece la storia del socialismo non finisce».

Una lunga amicizia, quella tra il vecchio leader e il giovane, che Fidel aveva cominciato ad «annusare», pur con qualche diffidenza, subito dopo la ribellione civico-militare del 1992. Uscito dal carcere due anni dopo a seguito di un’amnistia concessa a furor di popolo, l’ex tenente colonnello si era recato all’Avana: per vedere da vicino il pezzo più importante dell’album di famiglia a cui voleva riferirsi, nel solco dei «proceres» (i padri della patria) per una nuova indipendenza latinoamericana.

«Ero un bambino di otto anni, forse meno, quando a casa ho cominciato a sentir parlare di un certo Fidel, un barbuto», racconta Chavez nell’ultimo capitolo del libro Cuentos del arañero, curato da due autori cubani, Orlando Oramas Leon e Jorge Legañoa Alonso, e pubblicato da Vadell Hermanos. E riporta molti episodi divertenti dei suoi incontri con Castro: la partita di baseball amichevole, che la squadra venezuelana credeva di giocare con un manipolo di funzionari artritici, e che invece si tolsero le barbe finte e si rivelarono essere giocatori professionisti della squadra cubana; il sasso che lancia da lontano a Fidel per farlo smettere di parlare; o quella volta che i due parlatori maratonici rimangono a discutere per ventiquattr’ore…

Il leader cubano andò il Venezuela per l’assunzione d’incarico di Chavez, il 2 febbraio del 1999, e si trattenne fino al 4. Allora – ricorda il presidente venezuelano – vennero «non so quanti presidenti, il colombiano, il principe di Spagna, Menem… Mi dicevano che dovevo riceverli perché erano tutti in agenda. Io ero un ingenuo, uno nuovo… E alla fine, vedo in televisione Fidel all’aeroporto, se ne stava andando. Aveva lasciato diversi messaggi telefonici, ma evidentemente l’establishment non voleva che lo incontrassi…»

A gennaio del 1959, a 22 giorni dalla caduta del dittatore Fulgencio Batista, Fidel Castro visitò il Venezuela in cerca di petrolio per Cuba, accolto dall’alleanza che, con l’egemonia del Partito comunista e delle forze di sinistra, il 23 gennaio dell’anno prima aveva rovesciato il dittatore Marco Pérez Jimenez. Ma quella visita e le speranze che la rivoluzione cubana aveva suscitato in tutta l’America latina portarono alla «resistenza tradita» dei comunisti venezuelani: che verranno esclusi dal potere da un’alternanza di governo fra centro-destra e centro-sinistra (il Patto di Punto Fijo), più consona al volere di Washington, e che durerà fino alla vittoria di Chavez.

Ma l’influenza di Cuba resterà determinante per tutto il corso del Novecento, sia in Venezuela che in America latina, tracimando nelle nuove esperienze di governo del «socialismo del XXI secolo». Nel libro-intervista di Ignacio Ramonet, Fidel Castro, autobiografia a due voci (Mondadori), la risposta più lunga del leader cubano riguarda il ruolo di Cuba nel contesto internazionale. «Sono più di 2.000 gli eroici combattenti internazionalisti cubani che hanno immolato la loro vita compiendo il sacro dovere di sostenere la lotta di liberazione per l’indipendenza di altri popoli fratelli – dice Castro -. E in nessuno di quei paesi ci sono proprietà cubane. Oggi come oggi non c’è paese che possa vantare una così brillante pagina di solidarietà sincera e disinteressata».

In quella sede, Fidel contestualizza la figura di Chavez e il ruolo degli ufficiali progressisti nella storia dell’America latina. Un tema che Ramonet approfondirà con Chavez nel libro Hugo Chavez, mi primera vida, pubblicato da Vadell Hermanos subito dopo la morte del presidente venezuelano. Un volume che evidenzia i tanti punti in comune fra i due leader nel processo di trasformazione dell’America latina e l’influenza di Fidel Castro nel «rinascimento latinoamericano», sbocciato all’inizio del secolo attuale.

A Ramonet che gli chiede se si senta un predestinato, Chavez nega convinto, e spiega con le parole di Marx nel 18 Brumaio il ruolo dell’individuo nella storia e il modo in cui i singoli ne diventano consapevoli, scegliendo da che parte situarsi nel mondo.

«Se avessi potuto prevedere le cose, avrei detto, giocando con le parole di Fidel: la storia mi assorbirà. Sono stato trascinato e fatto a pezzi dall’orco della storia. I denti della storia o – per non presentare la storia come una forza aggressiva e maligna -, le braccia della storia mi hanno avvolto, l’uragano della storia mi ha risucchiato. Dice Bolivar: ‘Sono solo un filo di paglia trascinato dal vento dell’uragano». Di nuovo, nel solco di quanto ha già espresso Fidel sul ruolo «democratico e dal basso dei militari chavisti», l’ex presidente venezuelano spiega: «Qualcuno, molto confuso ideologicamente dice: “Sono militari, quindi sono di destra, sono gorilla”. E’ un errore. Noi non abbiamo mai pensato di formare una Giunta militare. Mai abbiamo pensato a un golpe militare classico per cancellare i diritti democratici e i diritti umani. Mai. Siamo antimilitaristi e antigorillisti. Non siamo mai stati golpisti. Siamo insorti per metterci a fianco del popolo venezuelano, come militari trasformatori. C’è anche stato chi ha definito la sostra ribellione “nasseriana”. Non lo era, non avrebbe avuto senso, ma in qualche modo sì, lo era: nella misura in cui avevamo un progetto sociale, socialista, un pensiero panamericanista, ossia bolivariano, e una posizione antimperialista. Siamo patrioti rivoluzionari. Golpisti sono quelli che si uniscono all’oligarchia per colpire il proprio popolo. Golpisti son quelli che, l’11 aprile del 2002 volevano instaurare una dittatura in Venezuela. Golpisti sono i traditori che si inginocchiano di fronte all’imperialismo nordamericano. Noi siamo bolivariani, rivoluzionari, socialisti, antimperialisti. Ogni giorno di più».

Il ruolo di Fidel Castro durante il golpe del 2002 in Venezuela è stato determinante: sia nel portare in luce quel che stava accadendo, sia nel consigliare Chavez, ricordando la drammatica esperienza di Allende in Cile. E determinante sarà l’alleanza tra il vecchio e il giovane leader nella costruzione dei nuovi organismi continentali. Nel 2005, a Mar del Plata, quando George W. Bush voleva realizzare l’Accordo di libero commercio per le Americhe (Alca), Chavez mostrò la propria determinazione. E Fidel gli passò un bigliettino: «Ah, ma allora non sono solo…» E nacque l’Alleanza bolivariana per i popoli delle nostre Americhe (Alba), che ancora fende le agitate acque del continente latinoamericano.

L’importanza dell’asse Cuba-Venezuela è parso chiaro nei principali atti decisi dal continente – dichiarato zona di pace nel vertice della Celac, a Cuba – e nelle trattative per una soluzione politica in Colombia. Durante gli ultimi tre anni di attacchi al governo di Nicolas Maduro, Fidel è intervenuto a sostenere l’ex operaio del metro, ex militante della Lega socialista che ha frequentato la «scuola quadri» a Cuba. E il 20 marzo, prima che arrivasse Obama, lo ha ricevuto all’Avana. «Se l’impero divorasse l’America latina come fece la balena con il profeta Giona – ha detto Fidel – non riuscirebbe comunque a digerirla. Prima o poi dovrebbe espellerla, e quella risorgerebbe di nuovo nel nostro emisfero».