Editoriale

La narrazione tossica del Jobs Act

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Istat Il Jobs Act è nebbia da diradare. Il governo di Matteo Renzi, e la grancassa mediatica al seguito, cavalcano i soliti numeri e nascondono la realtà. Più precari, mercato drogato dagli incentivi (finché durano), blocco del turn-over e riforma Fornero

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 8 gennaio 2016

Il tasso di disoccupazione a novembre segna una riduzione dello 0.2% rispetto ad ottobre, attestandosi al 11.3%, dato non compensato dalla fuga dal mercato del lavoro rappresentata dall’aumento del tasso di inattività. Il tasso di occupazione rimane stabile intorno al 56.4%, tra i più bassi d’Europa.

I dati relativi alla rilevazione sulle Forze di Lavoro, pubblicati ieri dall’Istat, non presentano rilevanti novità: il numero di occupati aumenta su ottobre di 36 mila unità, dovuto esclusivamente alla componente femminile, mentre diminuiscono i disoccupati (-48 mila) e minimamente gli inattivi (-4 mila): sono soprattutto le donne che si riattivano sul mercato del lavoro, mentre il numero di inattivi tra gli uomini aumenta di 31mila unità.

L’unica novità del mese di novembre pare essere l’aumento mensile di 40.000 occupati a tempo indeterminato – o stabilmente precari nel caso di contratti a tutele crescenti. Un’informazione pienamente concorde a un atteggiamento razionale dei datori di lavoro in risposta all’annuncio di una consistente riduzione degli sgravi contributivi per le assunzioni del 2016, che probabilmente sarà confermata a dicembre.

Ma nel complesso, l’andamento del lavoro a tempo indeterminato arranca rispetto a quello a termine: nei primi undici mesi del 2015, il numero di occupati a tempo indeterminato è aumentato solo di 62 mila unità, a fronte di 125.000 nuovi occupati a termine, che con elevata probabilità svolgono più di un lavoro nello stesso periodo. Aumentano, dopo mesi di declino, anche gli occupati indipendenti di 20 mila unità.

Per diradare la nebbia provocata dai lanci mediatici del governo, è bene sottolineare come da marzo a fine novembre, il numero di occupati classificati a tempo indeterminato sia aumentato di appena 37.000 unità: il Jobs Act insieme agli sgravi contributivi fa in otto mesi poco più di quanto non abbiano fatto gli sgravi autonomamente tra gennaio e febbraio.

Fin qui, considerando i due miliardi usati dal governo per la decontribuzione – escludendo quindi le deduzioni Irap – è possibile dedurre che ogni nuovo occupato a tempo indeterminato è costato circa 25.000 euro.

Evidenze che smentiscono definitivamente il presidente del Consiglio Matteo Renzi che attribuisce al Jobs Act, ridotto comunicativamente al solo contratto a tutele crescenti, il calo della disoccupazione: se un effetto dovuto alla normativa esiste – seppure sia lecito dubitarne fortemente – esso è da attribuire ancora una volta al Decreto Poletti e/o alla Riforma Fornero.

Infatti, da un lato l’aumento occupazionale è dovuto ai contratti a termine e, dall’altro, i beneficiari sono soprattutto gli over 50. Per questo gruppo anagrafico, il numero di occupati sale di 233.000 unità, mentre per la componente più giovane, tra i 15 e i 24 anni, si ferma a +33.000.
Allo stesso tempo, per la fascia compresa tra i 25 e i 49 anni, si osserva un crollo di 142 mila occupati. In particolare, per la fascia 25-34 anni si osserva anche una riduzione sia del numero di disoccupati (-97.000) sia degli inattivi (-120.000): coloro che perdono il lavoro smettono direttamente di cercarlo.

 

Istat. JobsAct + sgravi non fanno crescere lavoro indeterminato rispetto a termine che aumenta in un anno del 4.5% (elaborazione Marta Fana)
Istat. JobsAct + sgravi non fanno crescere lavoro indeterminato rispetto a termine che aumenta in un anno del 4.5% (elaborazione Marta Fana)

 

Rispetto a gennaio 2008, in Italia ci sono un milione e cinquecento mila occupati in meno tra i 25 e i 34 anni, mentre gli occupati over 50 sono aumentati di 1.992.000 unità. Alla luce di questi dati non è chiaro come apostrofare le dichiarazioni di Maria Spilabotte, vicepresidente della commissione Lavoro, secondo cui: «Finalmente anche per le ragazze e i ragazzi c’è un’inversione di tendenza importante». Il tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni, seppure diminuisca egli ultimi mesi al 38.1%, rimane tra i più alti d’Europa e ben lontano dalla sua media a 28 Paesi, 20%, come mostrano i dati pubblicati ieri stesso dall’Eurostat.

Intanto, la comunicazione politica, caratterizzata da mera propaganda di governo, sostituisce definitivamente l’analisi del mondo del lavoro, delle determinanti dell’occupazione e delle sue componenti, a una guerra tra bande, ognuna delle quali chiede ai presunti avversari di riconoscere la propria narrazione.

Un’ottima occasione per riconquistare spazio nella rappresentazione e descrizione della realtà e renderlo pubblico.

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