Arriva, arriva, questione di ore, anzi di minuti. Da giorni il governo, coerente con la sua eterna strategia dell’annuncio, continua a garantire l’imminente invio del testo reale della manovra al Parlamento, senza che poi venga recapitato niente. Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, che fa il possibile per adeguarsi all’inimitabile stile del suo presidente del consiglio, aveva assicurato ieri mattina dai microfoni di Radio anch’io che di lì a pochi attimi il sospirato testo sarebbe quanto meno stato inviato al Colle. Invece a sera non s’era visto niente se non, secondo voci accreditate nel primo pomeriggio dal malizioso forzista Renato Brunetta, un brogliaccio «pieno di buchi e privo di tabelle», e probabilmente neppure quello. Mentre alle 19 viene informalmente «preannunciato» dal governo l’arrivo al Quirinale, entro la serata, del testo ufficiale della legge «corredato dalle tabelle e dagli allegati previsti».

A questo punto due sole cose sono certe. La prima è che il Senato inizierà a discutere la legge di stabilità con immenso ritardo sui tempi imposti dal frettoloso Matteo quando si trattava di accampare scuse per impedire che si discutesse della riforma costituzionale. Se tutto va bene la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama calendarizzerà martedì prossimo, ma basterà un soffio di ulteriore ritardo, magari dovuto all’esigenza di leggere bene la legge da parte del presidente della repubblica Sergio Mattarella, e la sessione slitterà ancora.

La seconda certezza è che le cose sono molto meno semplici di quanto Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan cerchino di far credere. Le misure saranno anche state definite, nell’ora renziana delle «decisioni irrevocabili», ma quanto a coperture la faccenda sta messa ben diversamente.

La promessa del gran capo è nota: eliminazione della tassa sulla prima casa ma senza nessun taglio né sforbiciate ai comuni. Tutto lascia pensare che si tratti, tanto per cambiare, di una di quelle balle in cui il fiorentino supera persino il bugiardissimo di Arcore. I tagli ci saranno. Colpiranno la sanità, come ha di fatto denunciato ieri il governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, che non è precisamente uno scamiciato a cinque stelle ma l’esponente della vecchia guardia Pd forse più culturalmente vicino alla svolta di Renzi. Colpiranno i Comuni, anche se solo quelle in deficit. Lo spiega, come se nulla fosse, il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, anche lui via radio. Sì certo c’è il blocco delle tasse, «fatta eccezione per situazioni straordinarie». E i tagli colpiranno, quasi certamente, la Pubblica amministrazione.

Secondo le numerose indiscrezioni, la mazzata sul turn-over dei dipendenti per il prossimo triennio dovrebbe essere micidiale, con un tetto di spesa fissato al 25% di quello dell’anno procedente, contro previsioni che fissavano il medesimo tetto al 60% nel 2016, all’80% per il 2017 e al 100% per il 2018. La replica dell’Anci, affidata al vicepresidente con delega al Personale Di Primio, è stata immediata e tutt’altro che positiva: «La riduzione sarebbe ingiustificata e particolarmente critica per i Comuni, che metterebbe in grave difficoltà. Il drastico restringimento delle capacità assunzionali sarebbe anche in controtendenza rispetto alle scelte strategiche fatte solo un anno fa».
Renzi, dunque, prosegue con il metodo degli annunci trionfali, a copertura di realtà molto meno rosee. Del resto anche la fragorosa promessa di non tagliare le tasse su ville e castelli potrebbe essere, se non proprio l’ennesima bugia, solo una mezza verità. L’Imu verrebbe mantenuta, ma limitata all’aliquota standard del 4 per mille e con una sostanziosa detrazione di 200 euro per consolazione.

Per evitare che siano in troppi a verificare lo scarto tra promesse e realtà, non c’è niente di meglio che rilanciare aggiungendo annunci e sommando trionfalismo a trionfalismo. Matteo Renzi promette di limitare il numero delle sale da gioco, alla faccia di chi lo immagina premier-biscazziere: «I punti gioco saranno ridotti a 15mila e i bar con le macchinette potranno essere al massimo mille. Noi stiamo combattendo l’azzardo e chi dice il contrario mente».
Ma soprattutto il sincerissimo si lancia in un applauso dedicato a se stesso quasi senza precedenti: «Le chiacchiere stanno a zero, l’economia non più. Mentre i gufi dicevano e dicevano, noi facevamo». Poi, rivolto alla sinistra Pd, quella che «contesta sempre, a prescidere»: «Cosa è più di sinistra, litigare su mille euro di contante o mettere finalmente le risorse sul sociale e sulla povertà?». La seconda che ha detto. Se fosse vera…