Le donne rifugiate in Libano dalle città irachene e siriane bombardate, con quello che resta delle loro famiglie sono le protagoniste di La forza delle donne della reporter Laura Aprati e del regista Marco Bova, un documentario che inizia ora il suo giro di programmazioni e parteciperà a metà aprile alla festa del giornalismo a Perugia (11-15 aprile).

Sono donne di religioni ed etnie diverse, seguite con una camera che risente dell’emergenza, con la necessità di percorrere tutto il perimetro di confine. Mostrano l’energia con cui portano avanti la cura dei familiari rimasti in vita, fanno fronte alle responsabilità a dispetto di morte e distruzione, nonostante lutti feroci, bambini dilaniati, tutti i beni distrutti.

Chi cerca di evitare altri massacri sono le donne addette allo sminamento, nei territori che nascondono gli esplosivi causa di tante morti e mutilazioni. Chi imbraccia le armi sono le donne dell’esercito curdo che per un appartenente al Daesh sono una maledizione in quanto essere uccisi da una donna significa non poter mai vedere il profeta nell’aldilà.

Sono le donne che devono trovare acqua e cibo, diventano loro i capofamiglia mentre gli uomini sempre più inerti e in preda a depressione aumentano la loro aggressività. «Mi sono detta: alzati donna prendi i tuoi figli e vai» dice una di loro.

Le donne rifugiate dall’Iraq in Libano erano costrette a casa, non uscivano neanche per la spesa, dovevano seguire i canoni dell’abbigliamento anche se cristiane ed ora cominciano a sentirsi più libere. Dalla Siria alcune si trovano a lavorare in qualche fattoria permantenere la famiglia.

Diciotto comunità diverse si sono riversate nel Libano senza integrarsi e talvolta le testimonianze rivelano i problemi conseguenti alla mancanza di lavoro e alla separatezza.

Il film si sofferma su questo stato di guerra ormai da più di cinquant’anni secondo uno sguardo di genere, dal punto di vista delle donne. Una di queste è la giornalista di Beirut, Rima Karaki, che in un istruttiva scena in diretta televisiva a uno sceicco che le intima di stare zitta toglie senz’altro il collegamento affermando con sicurezza: «come si permette di dire alla conduttrice di stare zitta?». È lei che ha realizzato al sud il reportage sulle donne sminatrici di cui vediamo frammenti (e compare sempre senza velo): «ho visto madri con sei bambini a casa mentre loro tolgono le mine, mettendosi a rischio ogni singolo minuto per non mettere a rischio altre vite. Se sai queste cose e non te ne occupi sei connivente»

Rivoluzionano la loro vita le donne che stazionano negli ospedali in attesa della guarigione dei figli, o che nei campi di rifugiati cercano di dare una parvenza di normalità all’emergenza. Come ad Erbil dove opera FOCSIV (la Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontariato) di cui oggi fanno parte 80 Ong che operano in oltre 80 paesi del mondo e che ha sostenuto questo documentario. È a Erbil che suor Antoinette («La religione è per Dio e il dispensario è per tutti») testimonia come le donne sappiano reagire alla sofferenza e al dolore.

Il documentario è dedicato a due giornaliste morte a Mosul per raccontare la verità e si potrà vedere il 1 febbraio a Uggiano La Chiesa (Lecce) presso la Fondazione Le Costantine, il 22 e il 23 febbraio a Rosarno, iniziativa con la Flai CGIL della Piana di

Gioia Tauro, il 2 marzo al Comune di Riace, il paese dell’accoglienza. Quindi Bologna, Marsala, Padova, Pescara e Pordenone.

(info: www.laforzadelledonne.com)