Minacce, ricatti, dichiarazioni di fuoco, relative smentite, scatti d’ira, cinismo e disprezzo dell’avversario. Ci sono stati tutti gli ingredienti noti di una trattativa quando la posta è molta alta. Solo che quella fra Grecia e Ue è stata piuttosto la prima guerra di interdipendenza europea.
Condotta in 18, capitanati dalla Germania di Merkel e Schauble, contro uno, la Grecia. Senza esclusione di colpi. L’economia c’entra fino a un certo punto. La questione è sempre stata eminentemente politica. E la guerra, anche se not with tanks but with banks è pur sempre la continuazione della politica con altri mezzi.

La posta era, e resta, la possibilità non solo della esistenza di un governo di sinistra in questa Ue, ma quella di condurre politiche anticicliche di tipo keynesiano in un continente ostinatamente legato al neoliberismo nella sua espressione peggiore. Per negare questa possibilità, il vero contagio temuto, le elite europee sono disposte a tutto. Si è tentato un colpo di stato bianco per rovesciare Tsipras, sventato dal referendum di due domeniche fa; si è fatto credere che era possibile una Grexit intermittente, manipolando gli stessi trattati europei; da ultimo si cerca di imporre un cambiamento di maggioranza, da un governo di sinistra – con l’appendice di Anel – a un governo di unità nazionale con dentro i responsabili dell’attuale situazione.

Su ciò saranno decisivi sia il voto del Parlamento greco che le prossime mosse di Tsipras: potrebbe anche scegliere la strada di nuove elezioni – come in pratica gli consiglia Paul Krugman – con buone probabilità di uscirne chiaro vincitore.

Ogni accordo va valutato per il contesto e il testo. L’isolamento della Grecia è stato impietosamente evidente. Se si eccettuano i partiti della sinistra europea e i nuovi movimenti come Podemos – e, fatte le debite proporzioni, L’Altra Europa con Tsipras in Italia – attorno a Tsipras nel migliore dei casi aleggiava lo scetticismo. I sindacati europei hanno alfine preso posizione, ma troppo tardi per contare qualcosa. La Francia si è distaccata dall’intransigenza tedesca solo quando ha finalmente capito che un’Europa che cacciava la Grecia non avrebbe concesso ai francesi per la quarta volta di sforare i parametri di Maastricht. Solo gli Usa hanno dato una forte mano, convinti da ragioni geopolitiche non certo umanitarie.

A ciò va aggiunto, a quanto sappiamo da Varoufakis stesso, che lo stato greco non sarebbe stato in grado di attuare subito le misure che potessero permettere una uscita controllata dall’euro. Per cui quella minaccia non era agibile dal fronte greco, perché spuntata fin dall’inizio. La Grexit era in mani altrui.

L’accordo risente pesantemente di tutto questo. Tsipras è stato chiaro. «Ho trattato in nome del popolo greco». Ovvero ha scelto di difendere il paese tutto, cercando di salvaguardarne le possibilità future di sviluppo, sacrificando alcune questioni di immediata tenuta sociale che pure erano nel programma di Syriza. In particolare sul fronte delle pensioni, del mercato del lavoro, subordinato alle famigerate best practises europee, e delle privatizzazioni. Tsipras è ben cosciente di ciò quando afferma che queste imposizioni subite «potranno inevitabilmente creare tendenze recessive». Non c’è dubbio che se non si introducessero politiche economiche di nuovo tipo in Grecia l’esito sarebbe semplicemente il prolungamento dell’agonia della austerità. Tsipras fonda la sua scommessa, e lega il suo destino politico, alla possibilità di utilizzare il finanziamento triennale di 82-86 miliardi o quantomeno parte consistente per rilanciare una politica di investimenti all’interno che compensi le tendenze recessive, del resto già in atto da tempo. Il che richiederebbe anche una modernizzazione e una democratizzazione dell’apparato statuale e della pubblica amministrazione.

L’accordo ha evitato che leggi sociali fin qui votate fossero revocate. Ha mantenuto in patria il fondo di garanzia. Ma soprattutto ha introdotto la previsione, se non di un haircut di una ristrutturazione, del debito greco, ponendo implicitamente in discussione la sua sostenibilità. Un input per tutta l’Europa.