Senza fine recita il titolo, inventato da Gino Paoli per Ornella Vanoni e riciclato da Elisa Fuksas per il suo documentario dedicato alla stessa Ornella. E subito affiora un problema tanto la Vanoni è grande e debordante tanto la Fuksas è presuntuosa e invadente. Perché non è da tutti avere a disposizione un’icona della musica e della cultura e non è da tutti volerla forzare al proprio disegno artistico. Così, Fuksas addirittura non coglie le potenzialità e la grandezza di chi, spudoratamente, le si è messa a disposizione, non elabora di avere di fronte una donna, all’epoca, di 87 anni. No, lei la vorrebbe pronta per le riprese come un soldatino, pronta a posizionarsi laddove la regista vorrebbe, rifuggendo le domande da intervista. Per fortuna Ornella è molto più gigantesca e carismatica della giovane regista che si lamenta, che telefona, che entra troppo in campo, insomma che confonde la protagonista con se stessa e il proprio ego.

ECCO ALLORA che, quasi a dispetto, Ornella racconta della Milano del dopoguerra senza alberi, «i poveri ne avevano fatto legna per riscaldarsi», di Strehler e dell’Accademia, di come a lui non importasse altro che di lei, ben contento di essere cacciato come insegnante e di come Gino Negri sentendola canticchiare in auto rimanesse colpito dalla sua straordinaria intonazione. Così nasce la Vanoni, Strehler la vorrebbe interprete di canzoni da cortile, invece diventano le canzoni della mala. Poi finisce la storia con Strehler, lei sempre timidissima, ma un po’ più consapevole. E arriva «quel frocio» di Gino Paoli.

Così le era stato descritto nei corridoi delle case discografiche. Lui, bruttino, con gli occhiali spessi, lei timidissima e vamp. Lui convinto che a lei piacessero le donne. Lei convinta che lui non sapesse che farsene delle donne. Quando scoprono la realtà è passione, travolgente da un punto di vista umano e artistico, ma ci vogliono tre anni prima che Senza fine venga completata. Prossima ai novanta, spudorata nel mostrarsi in costume da bagno, accompagnata da Ondina, il suo cane, Ornella da sola popola l’albergo di Salsomaggiore dove vengono fatte le riprese. Dialoga con Vinicio Capossela e Samuele Bersani, duetta con Paolo Fresu, si commuove mentre vede se stessa sullo schermo grande che canta Domani è un altro giorno, rimpiange di avere fatto soffrire suo figlio perché sempre assente, sempre altrove. Ora invece è (forse) pacificata, da quasi trenta anni dice di avere chiuso con le convivenze con gli uomini, pacificata, non pacifica, pronta a sfoderare unghie e talento quando ritiene di essere sotto attacco, convinta però che sia «bello finire la vita come in una fiaba».