È un inverno da fame in Gran Bretagna, abbondantemente fuor di metafora. A Swansea, in Galles, la fila davanti alla food bank è in mezzo alla strada, in Matthew Street. In una scena da razionamenti in tempo di pace, le persone raccolgono umilmente pacchi, scatole, barattoli di cibo da cassette di plastica sul marciapiede. Qualcuno protesta per la mancanza di dignità di una simile scena: fategliela prendere al chiuso la roba da mangiare, non umiliate le persone in questo modo – come se fosse quello il problema. Tutto quello che è disponibile sparisce nello spazio di mezz’ora. Il Galles è notoriamente una nazione povera nel polittico britannico, ma nell’abbiente e imperiale Inghilterra la solfa è la medesima. E non solo al Nord. Secondo un think tank, la Food Foundation, nell’ultimo mese un milione di adulti ha passato almeno un giorno senza mangiare per far fronte a spese domestiche diventate esorbitanti.

A LONDRA, LA CITTÀ più ricca ma più povera del paese, la situazione è fosca. Negli ultimi due anni, oltre 421mila londinesi hanno fatto uso di un banco alimentare, oltre 200mila in più rispetto all’anno precedente. Il loro uso nella capitale è schizzato in alto negli ultimi anni, quando all’inizio degli anni Dieci – epoca in cui si insediò il primo governo di coalizione Tory-Libdem – gli utenti erano poco più di 10mila. Ora gli stessi individui che fino a ieri vi prestavano opera da volontari, ne diventano utenti, come ha raccontato al Guardian «Sarah», 44enne single con figli che secondo i criteri sociologici vigenti sarebbe considerata middle class.

NATE PER ALLEVIARE la crisi, le food bank sono in crisi. Vi sono quelle dove basta entrare e servirsi di quello che c’è. E ci sono quelle utilizzabili solo previa autorizzazione da parte di un ente locale che verifica il tuo stato di bisogno. Già la loro esistenza sarebbe motivo di vergogna nella quinta più ricca economia globale. Che però, secondo l’Unicef, è anche la quarta più povera quando si tratta di povertà alimentare, dietro a Romania, Bulgaria e Lituania. Il tutto mentre l’industria alimentare nazionale spreca 3.6 milioni di tonnellate di cibo l’anno, ma questa è un’altra storia.

IL TRUSSELL TRUST, ente che ne sostiene una rete nazionale, si batte anche perché di food bank non se ne debba avere bisogno, ben constatando la gravità di una situazione in cui simili iniziative, cascami dell’incultura beneficente del vittorianesimo, sono ormai diventate appendici di uno stato sociale dissanguato (non solo) da un pluridecennale incubo politico dal quale il paese non sembra aver alcuna intenzione di svegliarsi. Dieci anni fa le banche del loro network fornivano 60mila pacchi di cibo: nel biennio 2020-21 sono diventati due milioni e mezzo.

IN QUESTO QUADRO, il lungo e il breve periodo si intrecciano in modo perverso. I molteplici governi Tory che in nome del feticcio del pareggio di bilancio hanno crivellato lo stato sociale nemmeno fosse Sonny Corleone nel Padrino, sono sfociati nell’emergenza pandemica, in un’inflazione da rodeo e nell’impennata del costo dell’energia (senza poi dimenticare una tal Brexit). Più nel dettaglio: un’inflazione dritta verso il 7%; la fine del sussidio extra di venti sterline per l’emergenza Covid-19 introdotto all’inizio della pandemia; e lo spettacolare rincaro nel far west privatizzato delle utenze domestiche, (il 50% in più previsto da aprile dopo una sfilza di aumenti draconiani mentre Shell e Bp hanno appena festeggiato utili da capogiro) imposto anche grazie alla «transizione ecologica», con gas e luce che arriveranno a costare oltre ottocento euro l’anno in più per nucleo famigliare. Invece di tassare a sangue i mostri degli idrocarburi – figuriamoci – il ministro delle finanze e aspirante premier Rishi Sunak ha annunciato uno «sconto» di 200 sterline sulle utenze domestiche, che dovrà comunque essere ripagato più avanti: un prestito, insomma.

FORSE TRA I DIRITTI umani ci dovrebbe essere quello a non morire di fame. Ma le food bank, (terribile nome, meglio ricordarselo) sono ormai considerate una presenza normale nel tessuto sociale britannico. E il fatto è che nel quinto paese più ricco del mondo è difficile che la povertà e la fame non siano una scelta politica. Che poi in rampa di lancio verso Downing Street, dopo il corrotto etoniano, ci sia il banchiere-straricco-marito-di-moglie-straricca Sunak, non lascia ben sperare questa Gran Bretagna annonaria in tempo di pace.