È una mostra ricchissima, per molti aspetti disorientante, quella che ospita il MAMbo a Bologna fino all’11 novembre. Scultura, video, installazioni, videogiochi, fotografia, arte relazionale, pittura (poca), That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine è infatti un’enorme kermesse generazionale, con oltre cinquanta artisti nati a partire dal 1980 di origine italiana, che hanno studiato o sono stati attivi nel nostro Paese. Sono i giovani artisti sotto i quarant’anni che costituiscono la nostra meglio gioventù, il nostro possibile futuro, ma, soprattutto, costituiscono un buon campionamento per capire cos’è l’arte in Italia o, più prosaicamente, dove stiamo andando. Gli intenti, pur aggiornati alla nostra contemporanità, non sono differenti da quelli che hanno dato origine alla celebre Espresso. Art now in Italy, curata da Sergio Risaliti quasi vent’anni fa a Siena presso il Palazzo delle Papesse, forse la prima delle mostre con un focus strettamente sugli aspetti generazionali.

Curata da Lorenzo Balbi, giovane nuovo direttore dell’istituzione bolognese che condivide con gli artisti gli aspetti anagrafici, la mostra si sviluppa a partire dal problema di cosa voglia dire essere italiano «in un mondo globalizzato e in una società fluida in cui il concetto di nazionalità si interseca a quello di appartenenza linguistica, etnica, religiosa, formativa, culturale e sociale» (Balbi nel saggio in catalogo): sono elementi ineludibili, tanto più nel frangente in cui viviamo, caratterizzato da nefaste ed egoistiche tendenze nazionaliste.
La risposta del curatore è particolarmente incisiva: «sono personalmente a favore di uno ius soli artistico e, in parallelo, sento la necessità di un approfondimento di ciò che significa essere definiti oggi artisti italiani, in un sistema che ancora ricorre a questo tipo di categorizzazioni, in particolare in occasione di bandi e liste per mostre collettive, premi, padiglioni». Difficile non condividere la critica, tanto più nel campo culturale, in cui l’identità non può certo facilmente risolversi in una formula amministrativa o burocratica.
That’s IT! comincia in medias res, prima ancora di entrare nelle sale del museo: l’ingresso ospita infatti l’installazione audio di Diego Marcon, mentre le superfici di vetro delle porte sono coperte da una pellicola trasparente blu, che Marco Giordano ha collocato costruendo una situazione simile a quella dei lavori in corso. Prima ancora di aprire la porta che conduce alla Sala delle Ciminiere del piano terra, che ospita la mostra, si fa in tempo a leggere il pensiero quotidiano di Riccardo Benassi, che in un display simile a quello delle sale d’aspetto visualizza ogni giorno (e lo farà fino alla morte dell’artista, giorno in cui smetterà l’aggiornamento) una propria frase: è un modo per condividere l’intimo fluire delle idee, dei dubbi e delle intuizioni.
Varcata la porta, nella penombra, si è attratti dalla grande sale dall’ampia volumetria, dalle cui porte ora entrano le luci della città, in contrasto con l’atmosfera da white cube che si registrava negli anni scorsi. La sala è un assembramento, paratattico e un po’ caotico, di opere, distante dalle modalità allestitive consuete per l’arte contemporanea. Benché sia chiaro l’intento di dare l’idea di un laboratorio, i lavori sono troppi, con il rischio di inficiarne l’osservazione e, talvolta, il godimento. Ma evidentemente nin era facile dare spazio a tutti gli artisti.
Non mancano i pezzi di particolare forza, come l’iconico/ironico accostamento di portiere d’auto Polinieri di Giulio Delvè, la buca di strada in catrame di Andrea De Stefani, capovolta come fosse un alveare, le pitture di Andrea Kvas, il video Presente di Valentina Furian, realizzato filmando uno spiazzato ma incuriosito asino bianco negli stessi spazi in cui l’opera è esposta, o l’installazione video multicanale di Margherita Moscardini, che mostra riprese realizzate su alcune delle fortificazioni che costituivano il Vallo Atlantico, di cui viene evidenziata la scultorea presenza. Nelle sale laterali spiccano l’intensa serie di fotografie realizzate da Elena Mazzi, che analizza l’universo mitico e antropologico di una piccola città dell’Abruzzo come Guilmi, le stampe minimaliste di Marco Strappato che fanno riferimento all’estetica dei sistemi operativi del computer, i video di Danilo Correale che mostrano le dinamiche di ripresa delle immagini per la realtà virtuale, il videogioco di calcio addomesticato in versione di lotta tra i movimenti artistici dei The Cool Couple, o l’immaginifico e stralunato video del collettivo Iocose.
Benché sia una mostra da non perdere – per lo sforzo dell’istituzione, del curatore e del suo staff, ma anche per la freschezza che se ne coglie – That’s IT! nel suo complesso è però affetta dello stesso problema sofferto da molti degli artisti della generazione che vuole analizzare: l’indeterminatezza e l’assenza di un sistema minimo di riferimento per ordinare le esperienze, nel caso degli artisti a causa della precarietà intellettuale e della mancanza di una politica culturale degna di questo nome (elementi intellettuali condivisi anche da chi scrive). Non convince poi fino in fondo il fatto di chiedere a ciascun artista di scegliere un’opera che possa rappresentarlo, lasciandolo, si direbbe, in balia di se stesso: in simili situazioni, forse è opportuno che il curatore si prenda l’onere di negoziare le proprie intenzioni con l’artista, condividendo le opzioni più appropriate.
Si segnala inoltre l’assenza di artisti che praticano la pittura – quali ad esempio Thomas Braida, Matteo Fato, Tiziano Martini, Nebojša Despotovic –, aspetto che segnala come evidentemente essa non sia un medium particolarmente tenuto in considerazione (lo stesso, giova segnalare, è accaduto anche nella mostra Espresso o nelle ultime mostre analitiche come le Quadriennali).
Ciononostante That’s IT! rappresenta un punto di partenza ineludibile per capire cosa sta succedendo ora, soprattutto per la tensione ideale che si avverte e per il rilevante contributo intellettuale dei saggi in catalogo (la cui grafica è essa stessa un’opera), in particolare grazie ai contributi di Cesare Pietroiusti, Michele D’Aurizio e Andrea Viliani.
Giovane arte italiana, in bocca al lupo