La tensione continua a salire nelle isole greche, il flusso di rifugiati siriani non si arresta e la gestione in terra dell’ordine pubblico continua a essere un problema. Nella notte tra il 2 e il 3 marzo, una nave dell’ong Mare Liberum che effettua il pattugliamento e il soccorso dei migranti a largo dell’isola di Lesbo, è stata avvicinata da un gommone con a bordo persone incappucciate, che prima hanno minacciato di sparare contro l’equipaggio volontario e successivamente gettato benzina sul ponte della barca minacciando di darle fuoco.

Altri attivisti hanno denunciato atti di vandalismo nei confronti dei loro mezzi e alcuni continuano a non poter entrare a casa per paura delle ronde dell’estrema destra.

«Stanotte ho dormito in una tenda del Campo di Moria – ci dice Nawal, attivista italo-marocchina da tempo attiva a Lesbo – Il posto più sicuro è paradossalmente proprio il campo, almeno le ronde non riescono a entrare dentro. Sotto casa mia è stata completamente devastata una macchina di un volontario e le altre hanno le ruote forate e i vetri rotti».

Alle 18 di ieri è stata convocata una manifestazione a Mitilini in solidarietà con i migranti, ma invertire la tendenza sembra oggi difficile: la polizia continua a non voler intervenire e lasciare campo libero ai gruppi d’estrema destra organizzati.

Nel tardo pomeriggio di ieri è arrivata un’altra notizia di spari contro i gommoni dei migranti: a darla è stata la piattaforma Alarm Phone, che ha riportato tramite Twitter la vicenda di due imbarcazioni che provavano a attraversare il confine di Kastellorizo, quando la Guardia Costiera ellenica ha sparato contro entrambe. Una delle due è riuscita a tornare indietro e dare l’allarme, mentre sull’altra sembra ci siano feriti.

Per alleggerire la pressione sull’isola di Lesbo, le autorità greche vogliono utilizzare una nave come centro temporaneo per i migranti, visto che il campo di Moria è pieno ormai da settimane e il governo presieduto da Mitsotakis non ha intenzione di spostare i migranti sulla terra ferma.

La situazione è completamente differente lungo il fiume Evros, dove la polizia e l’esercito ellenici pattugliano quasi ogni angolo degli oltre cento chilometri di confine con la Turchia. Dall’altro lato da giorni sono ammassate migliaia di persone che dopo mesi hanno potuto lasciare i centri di detenzione turchi.

La strada che costeggia il confine con la Turchia corre in mezzo a campagne sterminate, tra un paese e l’altro ci sono almeno 15 minuti di macchina. Per i migranti questa parte di terra non è facile da attraversare senza essere visti: i paesi sono piccoli e tutti si conoscono, le pianure di campi arati non offrono ripari durante il giorno e l’esercito a ogni incrocio controlla tutto quello che avviene, anche grazie alla collaborazione dei cittadini.

«Di qua i migranti non passano, perché sanno che è molto pericoloso, quei pochi che l’hanno fatto sono stati presi a bastonate dai nostri concittadini», ci racconta Afroditi, donna quarantenne di Dikaia, piccola cittadina al confine tra Grecia, Turchia e Bulgaria.

Afroditi gestisce il supermarket del paese ma in passata è stata lei stessa migrante: «Ho studiato in Germania ma poi sono tornata per stare vicino alla mia famiglia». Ci racconta di aver chiamato la polizia quando ha visto qualche siriano aspettare il treno nella stazione che si trova proprio davanti al suo negozio.

«Vogliono andare ad Alexandropolis e da lì proseguire verso la Macedonia ma io non capisco perché non vanno in altri paesi islamici, in Europa siamo cristiani. Inoltre qua paghiamo ancora la crisi economica, dobbiamo pensare a noi», chiosa mentre nel super market entra l’unico cliente degli ultimi 20 minuti.

Poco importa ai residenti se i rifugiati siriani qui siano solo di passaggio e che la loro volontà sia proseguire il viaggio il prima possibile. La gran parte di loro ha come meta la Germania, alcuni la Svezia ma quasi tutti quelli che riescono a passare queste zone saranno bloccati di nuovo in Serbia o in Bosnia, respinti dalla polizia di frontiera croata che nell’ultimo anno si è resa colpevole di diversi atti di violenza.

«Per me qua non devono passare, noi siamo una zona forte, siamo rispettati da sempre e non possiamo permettere di essere invasi», ci dice Andreas, proprietario di una pompa di benzina e un piccolo hotel a Tichero, paese di poche anime a meno di 5 chilometri dal fiume Evros e quindi dal confine.

«Io tutte le sere prendo il fucile e vado lungo il fiume, controllo che nessuno passi. Prima che arrivasse l’esercito pensavamo noi a difenderci», aggiunge il benzinaio di Tichero, mentre sulla cartina mostra il punto dove la sera si immedesima in una guardia di frontiera.

Mentre sul lato turco i rifugiati continuano a essere ammassati e a vivere accampati lungo il confine, da questa parte le uniche rassicurazioni che hanno avuto gli abitanti dall’Europa sono quelle dell’invio di altri militari di Frontex, come se i migranti e i rifugiati fossero un esercito da combattere.