In un momento in cui si riapre il dibattito fra difensori e i detrattori dell’inferno (fra questi ultimi ci sarebbe anche il pontefice, «intervistato» da Scalfari), gli anniversari sono occasioni per fare il punto su un evento che ha segnato una discontinuità nella storia, tanto più se, essendo ancora in corso, disegna anche un’ipotesi di futuro.

Il quinto anniversario dell’elezione di papa Francesco (13 marzo 2018) non è sfuggito a questa prassi: sui banchi del mercato editoriale sono comparsi molti titoli sui cinque anni di pontificato.

Dai libri apologetici che rafforzano la papolatria già piuttosto diffusa, a quelli che tentano analisi più accurate. R

esta centrale la domanda dello storico Andrea Riccardi – nel volume da lui curato Il cristianesimo al tempo di papa Francesco, Laterza, pp. 375, euro 22 – su «quanto il tempo di papa Francesco inciderà nella storia di lungo periodo del cattolicesimo. L’aspettativa dei settori critici è che il suo pontificato rappresenti una parentesi. Tuttavia è una stagione intensa, che può dar luogo a un profondo cambiamento».

IL TEMA È QUELLO della «rivoluzione» – vera, finta o presunta – di Francesco, a cui i cardinali che lo hanno eletto («gli insofferenti alla Curia, gli stanchi dell’insistenza sui ’valori’, gli estimatori della sua figura spirituale») hanno chiesto «una riforma della Curia». Ma Bergoglio, scrive Riccardi, più che un riformatore, è un comunicatore, che mette tra parentesi gli interventi strutturali e parla «della fede e della vita delle gente», anche perché «non ha una cultura istituzionale», né si vede «un disegno organico attorno alla riforma del governo romano».

«Francesco ha innescato nuovi percorsi senza sapere esattamente cosa avrebbero prodotto, mostrando di avere un’idea chiara sulla direzione in cui bisognava andare» ma «senza definire la strada per arrivarci», aggiunge lo storico Agostino Giovagnoli, in un altro contributo del volume (che raccoglie, fra i tanti, saggi degli storici «di sant’Egidio» Gianni La Bella sull’America latina e il «laboratorio argentino», Marco Impagliazzo su cristianesimo e islam, Roberto Morozzo della Rocca sul ruolo diplomatico della Santa sede; di Massimo Faggioli sui laici e di Marinella Perroni sulle donne). Quella di Francesco, scrive Riccardi, non è una rivoluzione istituzionale, ma «culturale», che «attende una risposta dalle periferie, dalla base e dai vari attori ecclesiali».

DAL PUNTO DI VISTA strutturale, quindi, nella Chiesa cattolica è cambiato poco. Lo afferma, con un’analisi spietata, il sociologo Marco Marzano (La Chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata, Laterza, pp. 163, euro 18). Un volume che introduce numerosi spunti di riflessione critica, sebbene talvolta rischi di semplificare eccessivamente complessità e tortuosità di un’istituzione con duemila anni di storia che non può essere assimilata a una qualsiasi organizzazione sociale.

Il punto di partenza di Marzano è la distanza fra la narrazione del «papa rivoluzionario» e la reale azione su quattro temi decisivi: riforma della Curia, mutamento delle norme etiche sulla vita sessuale e affettiva, abolizione del celibato obbligatorio del clero, condizione delle donne nella Chiesa. Aspetti sui quali gli interventi di Francesco non hanno prodotto modifiche, tranne minimi aggiornamento sulla possibilità di accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati. Diagnosi indiscutibile, anche se vengono trascurati altri aspetti, irrilevanti sul piano strutturale, ma che hanno spostato l’asse della Chiesa dalla dottrina al sociale.

La Chiesa non può cambiare. Secondo Marzano questo è accaduto solo in tempi di crisi (nel ’500, con il Concilio di Trento, in risposta alla Riforma protestante), e quella odierna non è una fase di crisi: la Chiesa cattolica arranca nelle società secolarizzate di Europa e America, ma cresce in Africa e Asia. E in realtà Francesco non vuole cambiare un’istituzione che «mostra una naturale tendenza verso l’inerzia, la stabilità e la conservazione».

PIÙ CHE DA RIFORMATORE agisce da «distrattore»: mostra attenzione ai temi economico-sociali (rimanendo saldamente ancorato alla Dottrina sociale della Chiesa) e pratica una indifferenziata «politica dell’amicizia», fuori (luterani e ortodossi) e dentro (lefebvriani e teologi della liberazione, secondo Marzano ormai «sconfitti e ridotti all’assoluta irrilevanza») le mura della Chiesa.

Azioni che fungono da «surrogato» e da «freno per la riforma strutturale dell’istituzione» e che confondono i riformisti, anch’essi soggiogati da un «papismo» che agisce come «trappola cognitiva» che «allontana e distoglie dalla verità».