Quattro settembre 2018, una stanza d’ufficio del Centro Frantz Fanon. «La prima volta che li vidi avevo due o tre anni. Sbucarono dalla foresta come bichos (insetti, ndr). Donne e bambini si misero a correre, spaventati. Mia madre mi prese per un braccio e mi trascinò via. Dopo avermi nascosto, raccomandò ‘Fai silenzio, non piangere’». Erano Bianchi, i bichos. Militari delle spedizioni incaricate, a partire dal 1940, di demarcare i confini tra Brasile e Venezuela. Quel ricordo infantile emerge dalla memoria di Davi Kopenawa, nato intorno al 1956 nell’estremo Nord dello stato brasiliano di Amazonas, sul filo della frontiera e su un territorio grande oltre il doppio della Svizzera. Un territorio che da sempre appartiene alla comunità indigena dei circa ventiduemila Yanomami.

LEADER
Davi è sciamano, portavoce della comunità, presidente dell’Associazione yanomami Hutukara e uno dei grandi leader amerindi nella lotta per la sopravvivenza della foresta amazzonica. Dal dicembre del 1989 al Duemila ha raccontato sé stesso, la sua cultura, i suoi rapporti e le sue esperienze con la «civiltà» dei Bianchi all’antropologo Bruce Albert. Le registrazioni di quei colloqui in lingua yanomami, nella casa di Kopenawa ai piedi di Watoriki, la Montagna del Vento, costituiscono le oltre mille pagine di un libro, La caduta del cielo, che Nottetempo ha appena pubblicato dall’edizione originale francese La chute du ciel, Plon, 2010. Davi ha iniziato da Torino, dove lo abbiamo intervistato, un breve giro per presentare il suo lavoro al pubblico italiano. Annota Bruce Albert nella prefazione: «In un momento critico della sua vita e dell’esistenza del suo popolo, Davi Kopenawa ha deciso di affidarmi le sue parole. Mi ha chiesto di metterle per iscritto affinché trovino un cammino e un pubblico lontano dalla foresta. In questo modo non ha voluto solo denunciare le minacce di cui sono oggetto gli Yanomami e l’Amazzonia, ma, in quanto sciamano, lanciare un appello contro l’ipoteca che la sfrenata attività predatoria del ‘Popolo della merce’ fa pesare sul futuro del mondo umano e non umano».
Kopenawa bambino ha visto due epidemie distruggere la sua gente nel 1959 e nel 1967, portate lì dal Popolo della merce nelle vesti degli agenti dello SPI, il Servizio per la Protezione dell’Indio, e dai membri della New Tribes Mission. Kopenawa adolescente si è ribellato al proselitismo fanatico dei missionari evangelici, che gli hanno imposto un nome cristiano e decimato la famiglia per colpa di un’epidemia di morbillo trasmessa dalla figlia di un pastore. Sempre adolescente, annota Albert: «… sconvolto dai ripetuti lutti ma intrigato dalla potenza materiale dei Bianchi… lascia la sua regione natale per andare a lavorare nell’avamposto di Ajuricaba della Funai (Fundação Nacional do Indio), sorta in sostituzione dello SPI… Per riprendere le sue parole, cercherà in tutti i modi di ‘diventare un bianco’». Davi contrae la tubercolosi, e userà la degenza in ospedale per imparare il portoghese. Nel 1976, la Funai lo assume come interprete con l’apertura del tracciato stradale della Perimetral Norte. Ancora Albert: «Nel giro di qualche anno attraverserà la maggior parte del territorio yanomami, prendendo coscienza della sua estensione e, al di là delle differenze locali, della sua unità culturale. Da questa esperienza trarrà anche una comprensione più chiara delle molle che innescano la logica predatoria del Popolo della merce e della minaccia che essa rappresenta per l’esistenza della foresta e la sopravvivenza del suo popolo».

SPIRITI
Nei primi anni Ottanta, Davi sposa la figlia dello sciamano di Watoriki, che gli fa intraprendere il percorso necessario a divenire uno xapiri ed entrare a far parte di un universo di spiriti nascosto, dove il compito dello sciamano è amministrare per il bene collettivo le forze positive e negative delle quali è in possesso. Ricorda Davi: «La mia iniziazione, durò un mese, durante il quale assunsi la miscela di tabacco e altre erbe chiamata yakoana, e mi astenni completamente dal cibo. Superai la prova. In seguito, d’accordo con i Grandi Uomini della comunità, decisi di registrare insieme a Bruce anche questo racconto per spiegare ai Bianchi qual è il nostro modo di sognare e perché loro non riescono a sognare così lontano».
Arriviamo adesso al momento che lo porta a decidere di unire il cammino politico a quello spirituale: «Nel 1986 i nostri territori furono invasi dai garimperos, i cercatori di oro (le cifre ufficiali parlano di oltre quarantamila uomini, ndr). Distrussero l’ambiente naturale, ci sottoposero a violenze di ogni genere, portarono malattie, uccisero più di un migliaio di yanomami. Come già avevano fatto nel 1964 i fazenderos, i latifondisti, e dieci anni dopo il progetto di costruzione della Perimetral Norte. Capii che era arrivato il momento di scendere in lotta per fermare l’illegalità praticata o permessa dal governo». Il suo libro non è un grido contro, ma un appello lanciato ai Bianchi da un mondo ai loro antipodi morali e materiali: se il Popolo della merce annienterà la foresta e i suoi abitanti, la caduta del cielo, la catastrofe del pianeta, sarà inevitabile.
Quanto peso pensa possano avere, nel Ventunesimo Secolo, le mille pagine scritte con Albert? «Sono pagine rivolte soprattutto alle nuove generazioni, dialogano con i giovani nella speranza che servano loro per scoprire la realtà di una dimensione totalmente indifferente al mito del profitto e della ricchezza. Questa realtà è la foresta, cioè la vita stessa dell’intera umanità. Della foresta non hanno bisogno soltanto gli indios, ma tutti gli uomini.
Gli Yanomami e altri gruppi indigeni del Sud America stanno subendo una nuova forma di sfruttamento solo apparentemente innocua: i viaggi cosiddetti «di avventura» che trasformano gli indios in attrazioni ad uso degli occidentali vestiti in stile Indiana Jones. «È vero. Prendiamo, ad esempio, gli Xingu, che vivono nel Mato Grosso. La loro bellezza e il loro senso dell’ospitalità hanno facilitato l’arrivo dei turisti, che li fotografano mentre cantano e danzano, si mettono in posa accanto a donne e bambini, comprano oggetti e ornamenti come souvenir. Questa invasione ha creato un grande problema. Il richiamo del Bianco è potente, il desiderio di imitarlo è forte. Molti ragazzi non parlano più la lingua xingu, stanno abbandonando tradizioni e cultura. E hanno cominciato a bere alcol».
C’erano una volta nel Nord America, due secoli fa, i nativi chiamati con spregio pellerossa. La lotta di Davi Kopenawa è la lotta di tutti noi, che non sentiamo e non vogliamo appartenere al Popolo della merce.