L’autunno della finanza italiana e internazionale si preannuncia caldissimo. Ma non è escluso, sussurra un broker di piazza Affari interpellato mentre si gode un po’ di spiaggia a Formentera, che già agosto sia destinato a surriscaldarsi pericolosamente. «Certo, la decisione di Donald Trump di raddoppiare i dazi su acciaio e alluminio provenienti dalla Turchia non aiuta, anzi rischia di provocare un corto circuito assai vischioso e incontrollabile che potrebbe coinvolgere anche l’Europa e le sue istituzioni finanziarie. Sa cosa le dico? La minaccia di Erdogan di cambiare alleanze internazionali non dovrebbe preoccupare soltanto i governi ma anche le istituzioni finanziarie europee».
Francesco Giavazzi, economista bocconiano, va al cuore del problema: «Il vero pericolo per la Turchia e per il sistema bancario internazionale non è l’esposizione bancaria degli istituti di credito verso la Turchia. Il rischio imminente è che ci sia una massiccia fuga di capitali che metterebbe in ginocchio il paese e creerebbe panico sui mercati. La Turchia ha una bilancia dei pagamenti deficitaria, ha un vitale bisogno del risparmio estero. E’ un paese che vive sulla fiducia degli investitori esteri. Se crolla la fiducia verso le istituzioni economiche turche è inevitabile che anche la moneta crolli con forti squilibri sul mercato valutario». Che previsioni si possono fare a questo proposito? «Io prevedo che l’aumento dei tassi d’interesse negli Stati Uniti deciso da Donald Trump e dalla Federal Reserve spinga i grandi investitori ad abbandonare i paesi deboli e ad andare negli Stati Uniti. E’ sempre accaduto quando gli Stati Uniti hanno deciso di alzare i tassi. E non vi è dubbio che la Turchia sia da considerare un paese economicamente fragile».
Aneeka Gupta, Associate Director di WisdomTree Europe mette altra carne al fuoco: «I mercati temono il numero di prestiti in essere in Europa nel settore delle imprese turche e l’incapacità di ripagarli, con il rischio di affrontare una crisi della bilancia dei pagamenti. Anche se siamo ben lontani da una simile strozzatura, la reazione mostra una crescente preoccupazione per uno scenario di rischio di coda che riteniamo sia sopravvalutato».
L’ondata di incertezza e di sfiducia che si sta abbattendo sulla Turchia rischia di travolgere anche l’Europa occidentale e in particolare l’Italia, considerata anello debole del vecchio continente. Il termometro è ancora una volta lo spread che nelle ultime settimane è tornato in zona pericolosa e che nelle prossime settimane rischia di alimentare anche da noi la fuga di capitali verso gli Stati Uniti o la Germania. Il differenziale in Italia ha toccato venerdì scorso, dopo la bufera turca, i 268 punti portando la scadenza decennale al 3%.
Ma quello che preoccupa maggiormente gli operatori è che nelle scorse settimane lo spread non sia mai sceso sotto i 200 punti. In questa anomalia ci sta anche la decisione della Bce di non acquistare a partire da dicembre 2018 i titoli di Stato ma è altrettanto vero che nell’andamento dello spread c’è tutta l’incertezza che i mercati nutrono verso la politica economica del governo Lega-M5S. Un’incertezza dovuta soprattutto al mistero delle coperture di Flat Tax e Reddito di cittadinanza che inquieta gli investitori prima ancora di Bruxelles. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in un video propagandistico su Facebook è riuscito a parlare dei programmi del governo, dei presunti successi del suo esecutivo senza fare una cifra sulle cosiddette riforme giallo-verdi e sulle coperture. Le istituzioni finanziarie che ogni giorno monitorizzano l’Italia sanno invece che nelle prossime settimane è proprio sulle coperture che si giocherà la fiducia o meno nella capacità di questo governo di gestire la finanza pubblica. Secondo Bofa Merril Linch sullo spread siamo a un bivio: entro dicembre il differenziale potrebbe scendere a 170 punti o esplodere a 400 punti. Tutto dipenderà dalla manovra di autunno. Un anticipo delle nostre condizioni di salute comunque lo potremo avere il 31 agosto e il 7 di settembre quando le 2 più importanti società di rating, Fitch e Moody’s, ci diranno se l’Italia è ancora un creditore a basso rischio di solvibilità.