La creditocrazia non ferma la lotta di classe
Il capitale finanziario Chi danneggia l’austerity, chi avvantaggia? Lo hanno confessato i creditori nel corso della trattativa. Chiedendo altri tagli alle pensioni, un’ulteriore riduzione dei salari, l’aumento dell’Iva, privatizzazioni più estese. Rifiutando però, e nettamente, aumenti dell’imposizione fiscale sui ceti più ricchi, e anche una tassa una tantum sugli utili di impresa superiori a 500.000 euro l’anno.
Il capitale finanziario Chi danneggia l’austerity, chi avvantaggia? Lo hanno confessato i creditori nel corso della trattativa. Chiedendo altri tagli alle pensioni, un’ulteriore riduzione dei salari, l’aumento dell’Iva, privatizzazioni più estese. Rifiutando però, e nettamente, aumenti dell’imposizione fiscale sui ceti più ricchi, e anche una tassa una tantum sugli utili di impresa superiori a 500.000 euro l’anno.
È politico, tutto politico il conflitto tra la troika e il governo greco. Lo si combatte con un’arma impropria e terribile che ne è anche l’oggetto, l’euro, considerato, misurato e distinto come credito o come debito, credito o debito di stati.
Il che si è soggettivamente tradotto nella separazione e opposizione tra stati creditori e stati debitori, i due termini di un rapporto di forza tra gli stati che è tutto a vantaggio di quelli creditori. Creditori che, per essere detentori della titolarità e dell’esercizio del potere di erogazione, acquisiscono anche quello di imporre le condizioni per ottenerne l’assegnazione ed anche quello di vincolarne la destinazione.
L’accumulazione aggregata di tali poteri ha prodotto la forma attuale del capitale finanziario, la «creditocrazia» e la ha munita di propri organi istituzionali convertendo quelli esistenti o inventandone nuovi.
Ma in quale ambito? Se fosse quello del mondo globalizzato ci sarebbe certamente da combatterla perché tale ma con mezzi adeguati a quella dimensione spaziale. Come affrontare invece la «creditocrazia» costituitasi all’interno di una entità ordinamentale, giuridicamente indefinibile, ma massicciamente conglomerante come l’Unione europea? Unione che, nel suo Trattato costitutivo, si impegna a «promuovere la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli stati membri».
Il cui vertice però, troika o non troika che sia, ha deciso di usare l’euro-potere non ai fini della coesione che la impegna e della solidarietà che strombazza, non per assicurare la qualità della vita o anche la sola sopravvivenza, almeno questa, degli esseri umani che compongono gli stati-comunità dell’Europa.
Ai quali gli stati-governi hanno sottratto la sovranità appropriandosene per esercitarla congiuntamente agli altri stati-governi in funzione esclusiva e assoluta della prosecuzione di un’austerity inefficace e distruttiva come sostengono economisti con l’autorità scientifica di Krugman, Stiglitz, Piketty.
Come dimostrano gli effetti catastrofici prodotti – e ai governanti tedeschi ben noti – nei Laender dell’ex Ddr, a venticinque anni dalla caduta del muro. Perché l’austerity, allora? La risposta è obbligata, le cifre sono note. Non può esserci altra spiegazione che quella politica. Chi danneggia l’austerity, chi avvantaggia ? Il caso Grecia è esemplare. Obbedendo al programma che le dettò la troika 5 anni fa, la Grecia ha ridotto di un quarto, 106 miliardi, la spesa pubblica e del venti per cento i salari. La vastità del disastro determinato da queste misure non ha precedenti.
E indigna, ed è doveroso indignarsi, leggendo che l’enormità del debito greco è dovuta al salvataggio delle banche tedesche e francesi. Operazione, questa dell’attribuzione di un debito, comunque operata, a soggetti doversi dai beneficiari, oltre che palesemente criminosa, dimostra a quale livello di ignobiltà si giunge invocando l’etica (protestante?) delle relazioni umane, l’intangibilità delle regole e della loro efficacia, e quale concezione si abbia per la «coesione economica, sociale … e per la solidarietà tra stati». È la Grecia che mette in crisi l’Unione europea o chi ne rinnega operativamente i fondamenti morali ed ideali?
Chi danneggia l’austerity, chi avvantaggia? Lo hanno confessato i creditori nel corso della trattativa. Chiedendo altri tagli alle pensioni, un’ulteriore riduzione dei salari, l’aumento dell’Iva, privatizzazioni più estese. Rifiutando però, e nettamente, aumenti dell’imposizione fiscale sui ceti più ricchi, e anche una tassa una tantum sugli utili di impresa superiori a 500.000 euro l’anno.
C’è ancora qualche dubbio sul significato, l’obiettivo, l’effetto dell’austerity e, con esso, sulla funzione che si è assunta la Ue, sullo specifico ruolo che la fase attuale del capitalismo neoliberista affida alla «creditocrazia»?
Un capitalista affermò, qualche anno fa, che la lotta di classe c’era stata, ma la avevano vinto loro, i capitalisti. È vero, la avevano vinta. Ma continua. È indissolubilmente connessa alla democrazia che è chiamata a vincere, oggi, lì dove nacque e da dove insegnò cosa sia la civiltà politica.
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