Julien Gracq, con quel garbato anticonformismo e quella straordinaria arte della litote che caratterizza la sua scrittura, tutta basata su una poetica dell’indeterminatezza, dedica alcuni brani di critica letteraria a proporre una continuità non soltanto cronologica tra la retorica della Rivoluzione Francese e quella degli autori romantici. E parla di «quella bellezza di angelo che si presta malvolentieri (…) ad alcuni dei terroristi minori – Saint-Just, Jacques Roux, Robespierre il Giovane – (…) bellezza che conserva loro per noi attraverso i secoli, mentre nuota intorno a una ghirlanda di graziose teste tagliate come fossero un balsamo egiziano, il soprannome di Incorruttibile» (Liberté grande, José Corti, 1946). Nella sua prefazione ai Chants de Maldoror di Lautréamont (La Jeune Parque, 1947), Gracq osserva che le «forces obscures», ampiamente visibili nell’opera di Lautréamont, furono nascostamente presenti dietro la facciata razionale del secolo dei Lumi (moltissimi autori del Settecento e dell’Ottocento frequentarono a lungo occultisti e sedute spiritiche): e aggiunge che i rivoluzionari non vollero mai ammetterle ufficialmente, preferendo qualificarle soltanto come forme di superstizione delle quali si avvalevano i reazionari.
Quest’ambiguità della Grande Révolution percorre tutto il romanzo La casa degli uccelli, che Laura Bosio e Bruno Nacci hanno da poco pubblicato per i tipi di Guanda («Narratori della Fenice, pp. 288, €18,00). Esso è ambientato negli anni del Terrore: inizia nel febbraio 1794, prosegue nel giorno in cui viene ghigliottinato Danton, il 5 aprile 1794 e si chiude con un epilogo nell’autunno 1818 e nel cimitero di Picpus nel 1819.
È noto come in un discorso, Camille Desmoulins (avvocato, giornalista e rivoluzionario che cadde in disgrazia assieme a Danton e morì sul patibolo nel 1794) si sia scagliato contro gli eccessi del Terrore, terminando con questa tirata: «Amerete dunque questa dea assetata di sangue i cui grandi sacerdoti chiedono che si eriga un tempio costruito, come quelli del Messico, con le ossa di tre milioni di cittadini, e dicono senza sosta ai Giacobini, alla Comune, ai rivoluzionari, quello che dicevano le sacerdotesse spagnole a Montezuma: “Gli dei hanno sete?”». Ciò diede ad Anatole France l’ispirazione per scrivere quello che è forse il suo romanzo migliore, Gli dei hanno sete (1912).
Anche quello di Bosio e Nacci è un romanzo sull’epoca del Terrore, e come quello di Anatole France, esso non ha per protagonisti i leader del momento (presenti comunque sullo sfondo e in pochi episodi), ma figure quotidiane, inventate ma verosimili, agitate da passioni quanto mai comuni (amore, brama di ricchezze, di piacere e di onori, sete di vendetta). I due autori sanno rappresentare felicemente la folla: come quando viene narrata la presa della Casa degli Uccelli, nelle pagine iniziali; all’attenta descrizione dei protagonisti fa da pendant la presentazione dei volatili. In questo incipit il messaggio metaforico è chiaro: si tratta di figure ‘in gabbia’: gli uccelli liberati dalle voliere della Casa molte volte si rifiutano di fuggire, mentre i cittadini che entrano in essa rinunciano volentieri alla libertà. Si tratta di aristocratici e ricchi borghesi che pagano per rimanere nascosti lì in condizioni precarie, pur di sfuggire alla ghigliottina.
Tra i protagonisti de Gli dei hanno sete spiccava Évariste Gamelin, pittore discepolo di David che assiste nella sua zona di Parigi alle assemblee plenarie dei «patrioti in berretto rosso», i quali eleggono i magistrati municipali e deliberano in merito alle questioni di ordinaria amministrazione. E anche nella Casa degli Uccelli è la sezione rivoluzionaria del «Berretto rosso» a proteggere i prigionieri dalle parrucche incipriate.
La casa degli uccelli non è però solamente un romanzo elegante e asciutto. C’è in esso anche una dimensione sentimentale, affidata a vicende amorose come ad esempio quelle che coinvolgono Charlotte e Dominique. Ci sono effusioni delicate e non soltanto corruzione politica ed erotismo perverso (legato quest’ultimo ai personaggi di un vescovo spretato e di un redditiere, Hamelin, figlio unico di un agricoltore della Borgogna). Ci sono poi conversazioni argute tra i prigionieri, riflessioni degne della migliore filosofia su temi come la legge e la libertà; riferimenti puntuali a testi di Montesquieu e di Diderot; scene storicamente fedeli come quella del festeggiamento dell’Essere Supremo da parte di Robespierre, davanti alla folla l’8 giugno (20 pratile) 1794 al Campo di Marte. Insomma, questo romanzo scava nella coscienza dei personaggi: alcuni diventano crudeli, spietati, sanguinari; altri invece sono resi sensibili e virtuosi dalle circostanze avverse; tutti sono uomini e donne dell’umanità quotidiana, agitati da passioni senza tempo (l’amicizia, l’amore, la necessità di denaro, l’ambizione, il desiderio di salvezza), rinchiusi per gran parte di loro nella casa (quella appunto detta ‘degli uccelli’) di rue de Sèvres a Parigi.