Qiu Xiaolong nasce a Shangai nel 1953. Quattro anni prima, con l’ascesa al potere di Mao Zedong, il padre aveva perso la fabbrica di profumi di cui era titolare ed era stato bollato come capitalista insieme alla moglie e al figlio maggiore Xiaowei. Identico marchio avrebbe segnato poco più tardi Qiu e la sorella minore Xiaolong. Una ‘Famiglia nera’, nemica della classe operaia.

«La teoria di Mao sulla rivoluzione permanente nella società socialista e sulla lotta di classe sotto la dittatura proletaria causò ai miei genitori enormi sofferenze. Prima di tutto economiche, perché la fabbrica venne statalizzata. Poi morali, inflitte da umiliazioni e discriminazioni politiche. Con la Rivoluzione Culturale del 1966, le Famiglie nere furono depredate di ogni bene dalle Guardie Rosse e costrette a fare ammenda sottoponendosi in pubblico alle ‘critiche di massa rivoluzionarie’. Mia madre non si riprese mai dallo stato depressivo in cui era precipitata, mio padre morì pochi anni dopo l’inizio della Rivoluzione».

Che influenza ebbero in seguito quegli anni sulle sue scelte politiche e sul suo mestiere di scrittore?
Ero un bambino, ma anche un ‘cucciolo nero’. In altre parole, un senza futuro nella Cina di Mao. Questo ha gettato un’ombra sulla mia infanzia e la mia adolescenza. In una certa misura, però, mi ha costretto a fare qualcosa di più per me stesso, come studiare l’inglese a Bund Park (il viale simbolo di Shangai, ndr) durante la Rivoluzione Culturale. Essere un ‘altro’ nel sistema maoista ha influenzato ovviamente le mie scelte politiche. A differenza dell’ispettore Chen, non sono mai stato membro o funzionario del Partito, tenendomi sempre lontano dalle sue idee.

Dopo Tian’an Men, lei fu costretto a rimanere negli Stati Uniti perché dichiarato nemico della Cina.
Nel 1989 mi trovavo America per ragioni di studio. A Saint Louis, cucinando involtini primavera in un wok, partecipai a una vendita di cibo cinese per sostenere la lotta degli studenti. Un giornalista del broadcast radiotelevisivo Voice of America realizzò un reportage sull’iniziativa. Finii nella lista nera del governo cinese. Dunque non ebbi altra scelta che restare negli Stati Uniti.

Le storie di Chen hanno riferimenti autobiografici, molto forti in «Becoming Inspector Chen», tradotto in italiano con il titolo «Il poliziotto di Shangai». Nelle sue pagine, il lettore scopre il passato del funzionario integerrimo che ama la poesia e la cucina, ed è capace di innamorarsi; impara a conoscerne i collaboratori fidati dentro e fuori gli uffici della polizia.
Anzitutto devo dire che Becoming Inspector Chen è stato più sperimentale che autobiografico. Certamente è anche autobiografico in quelle parti in cui le mie esperienze e quelle correlate di altre persone hanno contribuito a delineare e a definire questo complicato poliziotto. Vivendo in America non potevo evitare di domandarmi cosa avrei fatto se fossi rimasto in Cina. Becoming Inspector Chen è quindi una proiezione di quello che mi sarebbe potuto succedere. Naturalmente non sarei stato un poliziotto iscritto al partito, ma l’intento originale di adoperarsi al meglio nei propri compiti e in tal modo riuscire, con tutti i limiti, ad aiutare la gente, è nella natura, nel carattere, dell’ispettore. Un’altra aspetto nella creazione della figura di Chen è stato del tutto accidentale. Il primo romanzo della serie (allora non sapevo nemmeno se sarebbe stata una serie o un solo libro) era un romanzo sulla transizione della società cinese, con al centro un intellettuale che cercava di venire a patti con mutazioni di una portata senza precedenti in Cina. Sul piano delle problematiche sociali, chi poteva essere più adatto a raccontarle di un poliziotto che si muove nella città e bussa alle porte delle case nello svolgere le sue indagini? Così, l’eroe intellettuale che pensa si è evoluto in un eroe poliziotto che pensa e talvolta scrive poesie.

Chen è un uomo temuto, abile nel suo mestiere, bravo nello sfuggire alle trappole dei funzionari di partito, ostinato nel cercare la verità. È però anche un uomo fragile, sovente stanco del proprio ruolo, costretto non di rado a sacrificare i suoi sentimenti.
Chen è al medesimo tempo un eroe e un antieroe in un sistema politico sempre più orwelliano. Lui è ben consapevole che, per poter agire da poliziotto, deve muoversi in modo circolare nel sistema, accettare i compromessi. A dispetto di ciò, sopravvivere e affrontare i problemi diventa ogni volta più difficile.

I collaboratori di Chen sono poliziotti onesti e al medesimo tempo degli amici. Tuttavia, gli aiutanti più straordinari sono quei personaggi esterni dai soprannomi fantasiosi, con molti anni sulle spalle, che amano incontrarlo in un ristorante popolare. Senza di loro, Chen forse non arriverebbe a risolvere i suoi casi. Da dove sono nati e perché?
In un certo senso si tratta di una riflessione sulla società cinese contemporanea. Questo mi è stato suggerito da un amico giornalista cinese che una volta mi chiese ‘Come può l’Ispettore Chen, poliziotto membro del Partito, risolvere un caso dopo l’altro in un paese dove gli interessi del Partito stesso si pongono al di sopra della legge e di qualsiasi altra cosa?’ Una bella domanda. Chen non può essere altro se non un uomo isolato (solitario) dentro una polizia destinata a servire prima di tutto il Partito. Questi personaggi esterni non sono altrettanto soggetti alle pressioni di uno stato di polizia e si trovano quindi in una posizione migliore per potere aiutare Chen. Alcuni di loro si basano su persone realmente esistite.

I romanzi di Chen si leggono come noir, ma il finale passa quasi in secondo piano perché è l’epilogo di vicende in cui la Cina di oggi è la vera protagonista: i giochi e la corruzione del potere, l’ipocrisia, la sottile crudeltà, la miseria di gran parte della popolazione, la perdita delle tradizioni, l’asservimento alla modernità, l’indifferenza complice verso le catastrofi ambientali… Da questo quadro emerge bene quanto sia assurdo che la Cina continui a dichiararsi comunista.
È così. Sui media ufficiali viene impiegato un termine: ‘socialismo con le caratteristiche della Cina’. La precisazione è stata aggiunta perché il governo di Pechino è ben consapevole che il suo non è socialismo nel vero senso della parola. È ipocrisia oltre ogni immaginazione.

Nelle storie di Chen, tramite i versi da lei composti e i versi dei poeti cinesi del passato, la poesia costituisce una presenza importante. Quei versi non sono mai collocati a caso.
Chen è insieme poliziotto e poeta. Le due visioni possono essere in contraddizione, ma sono anche complementari. E così aggiungono un ulteriore dimensione al carattere complesso dell’ispettore. Inoltre, la poesia è utilizzata allo scopo di creare un contrasto tra il presente e il passato, vale a dire la tradizione che si va rapidamente perdendo. Ultimo ma non meno importante è che mescolare poesia e narrativa fa parte della tradizione della letteratura classica cinese, allo scopo di dare una maggiore intensità lirica e fornire un particolare flusso narrativo.

Pensando alla letteratura noir in Europa e negli Stati Uniti, a chi potrebbe somigliare l’ispettore Chen? Forse lei conosce il commissario Montalbano, creato dallo scrittore italiano Andrea Camilleri. Personalmente, ravviso in lui non poche somiglianze con Chen.

Mi piacciono molto i romanzi di Camilleri. È vero, ci sono alcune somiglianze tra Montalbano e Chen, in particolare la loro comune passione per il cibo nel bel mezzo di indagini difficili e deprimenti. Ma non ho mai letto il commissario Montalbano prima di cominciare a scrivere il mio ispettore Chen.

Dove sta andando, dove andrà, la Cina di Chen?

In Chen va crescendo il pessimismo rispetto a ciò che può fare come ispettore di polizia nella Cina attuale. Ma l’interrogativo più pressante rimane per lui cosa possa riuscire a fare nei confronti di sé stesso, dopo tanti anni sacrificati al lavoro. Quanto alla Cina, schiacciata da un regime autoritario, la disillusione di Chen è divenuta totale.