Se a Montecitorio il Pd rimanda in commissione la legge di ripristino dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori per evitare un imbarazzante voto in aula, a Porta a Porta Matteo Renzi fa la faccia buona. Sia chiaro, sui licenziamenti facili «nessuna abiura», dice, ma «se vediamo la dinamica degli assunti col jobs act, riconosco pure io che via via che scendevano gli incentivi, era maggiore la percentuale degli assunti a tempo determinato che non a tempo indeterminato. E allora se Mdp o Ap chiedono di fare un tavolo e discutere di come far sì che si possa aumentare il numero dei lavoratori e che possano essere il più possibile a tempo indeterminato, io ci sto».

L’aria della campagna elettorale e i tavoli aperti delle future alleanze a sinistra consigliano il segretario del Pd la rottamazione delle battute acide. Stamattina il suo ambasciatore Piero Fassino vedrà una rappresentanza della lista di sinistra, probabilmente saranno delegati al rito il capogruppo alla camera di Si-Possibile Giulio Marcon e quella di Mdp al senato Maria Cecilia Guerra. L’esito è scontato: con loro nessuna alleanza è possibile («Il 5 marzo certo che parliamo con lui e con tutti», dice Bersani). L’ex segretario Ds, ammette Renzi, è più bravo di lui «a rimettere insieme i cocci», sottinteso i cocci che ha fatto lui stesso, Renzi. Ma in questo caso il compito di Fassino è scaricare sui suoi interlocutori la responsabilità della rottura.

Domani, giovedì, invece ri vedrà i rappresentanti di Campo progressista. La delegazione dovrebbe essere composta da Luigi Manconi, Bruno Tabacci e Ciccio Ferrara. In questo caso  la discussione entrerà nel merito. Stamattina Pisapia riunisce i suoi per fare il punto sulla trattativa con il Pd. Da questa parte si guarda con favore alla promessa di abolizione dei superticket e alla possibilità di approvare lo ius soli prima della fine della legislatura. Renzi intanto promette «gestione collegiale e pari dignità» agli alleati  e si dichiara pronto a farsi da parte: sarà candidato premier del Pd, «poi il presidente del Consiglio lo sceglierà Mattarella sulla base del risultato delle elezioni. Dunque il leader del Partito democratico promette «gestione collegiale e pari dignità».

Anche con la Cgil il segretario del Pd non usa che mettano in imbarazzo gli alleati di sinistra. Per questo non partecipa alla  polemica del giorno  contro Susanna Camusso e Pierluigi Bersani che da giorni giocano di sponda: la lista di sinistra ha spostato  da sabato 2 dicembre al domenica 3  la sua assemblea di battesimo (dove per la prima volta il presidente del senato sarà in veste di «capo della forza politica» come vuole la legge elettorale) per dare spazio anche mediatico alle manifestazioni della Cgil contro la riforma delle pensioni.

Il fatto incriminato, ovvero la prova provata dell’accordo fra partito e sindacato, sarebbe che Mpd ha annunciato lo spostamento della sua data prima che la Cgil lanciasse ufficialmente i cortei del 2. Camusso replica su twitter con l’hashtag #fakenews: «Ci sono commentatori e giornalisti che scambiano scelte sindacali della Cgil sulla previdenza come sponda politica a favore di partiti. Nulla di più sbagliato. La Cgil è troppo grande per essere assimilata al solo centrosinistra figuriamoci a una sola formazione».

Renzi ha imparato la lezione e alla vigilia della campagna elettorale non attacca  usa parole rispettose verso il sindacato: «La Camusso rappresenta la Cgil e le sue diverse anime, non Mdp. Penso sia ingiusto per la Cgil dire il contrario».

Ma è vero che la lista Mdp-Si punta alla famosa «rappresentanza del lavoro» e verso sabato prepara una mobilitazione in grande stile, compresa di volantinaggi fuori dalle fabbriche. Nel simbolo della lista, a cui si lavora in vista del lancio del 3 dicembre, la parola «lavoro» sarebbe quotatissima. Insieme al nome di Piero Grasso.