Non uno schiaffo, tutt’al più uno scappellotto: dopotutto, alla camera dei Lord, i Tories non hanno la maggioranza. Tuttavia l’abbondante sconfitta del governo May alla camera alta per 358 voti contro 256 sul Brexit Bill, la legge che conferisce il potere al primo ministro di notificare l’intenzione della Gran Bretagna di ritirarsi dall’Unione Europea applicando così l’Articolo 50 del trattato dell’unione stessa, è la prima della premier in quella che finora era apparsa come una trionfale cavalcata in difesa di una grandeur – pardon, di una greatness – odiosamente striminzita dai lacci e lacciuoli “continentali” della kafkiana Ue.

A nulla è servita la presenza – straordinaria, redarguente e ammonitrice – di May nell’aula rossa durante il dibattito, e tantomeno la lettera preventiva che la ministra dell’interno Rudd aveva scritto individualmente a quelle teste calde dei senatori perché non tralignassero: in uno schieramento bipartisan che ha visto sette ribelli Tories allinearsi con laburisti e liberaldemocratici, le loro eccellenze hanno alzato fieramente il capo in difesa dei diritti dei cittadini europei. E hanno così votato un emendamento in tal senso alla legge che era invece filata liscissima nell’aula verde, affinché questi diritti fossero preservati nella loro interezza entro tre mesi dacché sarà iniziato il fatidico processo di ritiro, a fine marzo. Apriti cielo. I tabloid di oggi sono pieni di contumelie verso “l’insidioso complotto” dei Lord per “ostacolare la democrazia” (The Sun).

Così emendata, la legge tornerà ai Comuni il 13 e 14 prossimi per essere nuovamente dibattuta. Qui, dove il governo ha una pur esile maggioranza, ha molte chances di essere “raddrizzata” dai deputati e rispedita, volente o nolente, al mittente. I membri di quell’anacronismo coriaceo che, pur con le riformette introdotte negli ultimi decenni, rimane la Camera dei Lord, dovranno così accettarla. In tal caso, i senatori potrebbero accontentarsi di aver fatto un beau geste in stridente contrasto con la mentalità da mercatino delle pulci che ha contraddistinto finora i toni del pre-negoziato, con ambo le parti, Londra e Bruxelles, che tengono in ostaggio i reciproci “expat” (temine che indica i migranti affluenti) colpevoli di credere che la libera circolazione degli uomini sarebbe stata tutelata tanto quanto quella delle merci. E la tabella di marcia di fine marzo sarebbe così rispettata.

Ma si affaccia anche un altro scenario, nefasto per May. Intanto il Labour di Corbyn, che ha passato la legge ai Comuni senza fiatare, potrebbe unirsi stavolta al coro dei sediziosi: il leader ha accolto con favore l’emendamento votato in senato. Poi si teme la ribellione di almeno trenta deputati conservatori che, corroborati dall’esempio dei sette dissidenti in senato, potrebbero votare a loro volta contro il governo. La prossima settimana i senatori voteranno, inoltre, un altro emendamento per dotare il parlamento di un voto cosiddetto “significativo” (meaningful vote) sul merito del negoziato intrapreso dal governo con Bruxelles.

La forsennata tabella di marcia verso l’Art. 50 pretesa da May subirebbe così un grosso intralcio. Non tanto per difendere i diritti dei pensionati inglesi che si godono l’ultravioletto (e soprattutto una pensione ipervalutata) della Costa del Sol o in Provenza dopo una vita di sacrifici sotto la pioggia (usufruendo a pieno titolo dei servizi sanitari ispano-francesi), dunque. Quanto per avere maggior titolo nella decisione di come dovranno essere i termini di questa famigerata Brexit. Termini della cui negoziazione il governo May, si è finora unilateralmente investito in nome di un esito referendario giuridicamente consultivo, creando così un attrito costituzionale fra esecutivo e legislativo che non ha precedenti nella storia di un paese dalla costituzione non scritta.

Il tutto senza considerare un’involontaria ironia: a fare pressione sui senatori affinché tutelassero la propria controparte europea residente nel Regno Unito sono stati soprattutto quei cittadini britannici residenti nell’Ue del cui destino Theresa May si proclama, strumentalmente, paladina.