La conferma di un nuovo rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale europea (Bce) a luglio ha mandato nel panico il governo Meloni. L’opposizione distratta si è tutt’al più soffermata sull’incapacità di spendere i fondi del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr), utili per aumentare investimenti e crescita. Dalle poche parole rintracciate ieri non sembra ancora diffusa la consapevolezza di un problema che riguarda i salari. Non basta chiedere il «salario minimo» o il rafforzamento della contrattazione se la Bce, con le altre banche centrali, continuano ad interpretare l’inflazione come un fenomeno monetario.

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L’ANNUNCIO della presidente della Bce Christine Lagarde ieri a Sintra, in Portogallo, durante il Forum sulle banche centrali, è stato definito «insensato e dannoso» dal vicepremier Matteo Salvini il quale ha sostenuto che si rivolgerà al rappresentante italiano nel board della Bce, Fabio Panetta che succederà a Ignazio Visco alla guida di Bankitalia. Il 16 febbraio scorso Panetta disse che la Bce stava «guidando come un pazzo a fari spenti nella notte». La traiettoria non è cambiata e rischia di arrotare il governo italiano che sa di essere particolarmente esposto al colossale cambio di politica monetaria. I tempi di Draghi sono finiti. Con l’Eurozona, e una Germania, in «recessione tecnica» il timore è di seguirle a ruota a causa della politica della Bce.

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DA TAJANI A URSO sono arrivate ricostruzioni parziali e incomplete sull’origine dell’inflazione. «Soffriamo di una inflazione che non è dovuta a un fatto interno, ma è provocata in modo particolare dalla guerra che c’è ai nostri confini. Oggi aumentare il costo del denaro significa mettere le imprese in difficoltà». «L’Italia ancora regge, ed è tra le grandi potenze occidentali l’unica che ancora cresce in maniera che direi significativa, ma la Germania è in recessione piena. E condizionerà anche noi» ha aggiunto Urso. «Rischia di essere un boomerang» ha concluso Pichetto Fratin. Profondo nervosismo, e panico, dovuti anche al fatto che il governo ha le mani legate, oltre che per la loro profonda inadeguatezza nel sostegno dei salari, come dimostra la vicenda del taglio al cuneo fiscale.

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ALLORA È INTERESSANTE analizzare le parole di Lagarde per capire che le origini dell’inflazione e il conflitto sociale di cui essa è il prodotto. Lagarde ha ribadito che i tassi continueranno a salire finché l’inflazione persistente non sarà domata tornando al 2%, rispettando così il mandato della stabilità dei prezzi. Il problema è che a Francoforte, dove ha sede la Bce, non sanno dire con certezza quando sarà raggiunto il livello massimo dei tassi di interesse passati in pochi mesi da valori negativi al 4%, la soglia più alta negli oltre venti anni di storia di questa curiosa istituzione tra i cui scopi non rientra anche la promozione dello sviluppo e dell’occupazione.

NELLE STIME della Bce bisognerà aspettare almeno due anni, nel 2025, per domare l’inflazione. E non è detto che ci riuscirà. Dipenderà dall’andamento dell’inflazione «core» che non conteggia i prezzi volatili di energetici e alimentari. Oggi è al 5,3%. Per il momento, sostiene Lagarde, si navigherà a vista. Nel frattempo andrà avanti «qualunque cosa accada». Appunto, cosa può accadere?

CHI HA UN MUTUO a tasso variabile di 25 anni per un immobile da 220 mila euro ha già visto la rata schizzare da 500 euro a quasi 800 in meno di un anno. E crescerà ancora. Nel frattempo i redditi reali sono caduti in Italia dal 2008 fino al 10%. E, salvo alcuni rinnovi contrattuali nel lavoro dipendente, non se ne intravvede nessuno per all’incirca 7 milioni di lavoratori. Senza contare tutti gli altri che un contratto non lo possiedono.

IL GIOCO DELLE ASPETTATIVE fatto dalla Bce è un paradossale capolavoro. Dato che c’è l’inflazione, e presumibilmente in futuro i lavoratori chiederanno l’aumento dei salari (ieri Lagarde ha detto che sarà pari al 14%), allora conferma misure che frenano la possibilità di chiedere tali aumenti. La previsione della richiesta di aumenti ha spinto la Bce a rivedere «al rialzo le nostre proiezioni per l’Inflazione core, anche se le nostre aspettative per i salari sono rimaste sostanzialmente invariate» ha osservato Lagarde. Sta dicendo che non c’è una spirale tra i prezzi e i salari, come nell’inflazione degli anni Settanta. Ma, se ci fosse, e comunque in previsione di un aumento del salario nominale, allora è giusto influire ora sui salari reali.

QUESTA VISIONE difende i profitti realizzati dal capitale dal Covid all’attuale economia di guerra. Ma diventa paradossale se ascoltiamo l’interpretazione che Lagarde ha dato ieri sull’origine dell’attuale inflazione. In una prima fase è stata causata dalle imprese e dagli extraprofitti che hanno realizzato a partire dalla speculazione sui prezzi delle materie prime energetiche e alimentari. E poi, man mano che l’inflazione si è ben installata nell’economia, su molte altre merci e servizi. Anche se ora questi profitti «iniziano a scemare- ha aggiunto Lagarde – hanno contribuito per due terzi ai rincari». Nessuno pensa che la tassazione di questi «due terzi» di extraprofitti possa servire a correggere le politiche della «disinflazione». Semmai, ha osservato Lagarde, «dobbiamo garantire che le imprese assorbano l’aumento del costo del lavoro nei margini». Questo è il nodo politico della crisi. Ma la politica guarda altrove.