Che emozione rivedere sulla scena dopo parecchi anni lo struggente malinconico divertentissimo Compleanno che Enzo Moscato aveva scritto a pochi mesi di distanza dalla tragica morte di Annibale Ruccello, avvenuta alla fine dell’estate del 1986. Una morte sempre emotivamente rifiutata, ha scritto Moscato, quella del giovane compagno delle prime avventure teatrali. E che ci sembrò allora imprimere un giro di vite alla sua scrittura, allo stesso suo stare sulla scena che ha il passo leggero dello «spiritillo» che si è insinuato negli anfratti del teatro per sovvertirne l’ordine costituito. E allora è bello che sia ripartito da qui l’omaggio che con «A sud del teatro» il centro teatrale La Soffitta ha dedicato all’attore e autore napoletano.

Eccolo farsi avanti, Moscato, reggendo una torta con le candeline, in una scena giudiziosamente ingombra che va decifrata un poco per volta. Una poltrona vuota sotto un festone di lucine colorate, però inquadrata da un prepotente fascio luminoso. Un tavolino traboccante di cose. Cinque rose rosse buttate là un po’ distrattamente, e sono evidentemente le «rose di Jennifer» della prima commedia di Ruccello. Tanti auguri, fraulè. Tanti auguri. Lo sai di chi è il compleanno oggi? Lo sai? È una celebrazione dell’assenza la cerimonia sciamanica imbastita dall’attore. Più volte ritornano le note di Tu quieres volver. Tu vuoi tornare ma io non ti vedo più, dicono le parole. E chi l’avrebbe detto che una canzone dei Gipsy Kings potesse commuovere tanto. Ma intanto si va anche componendo quell’impasto linguistico che parla da lì in poi la Babilonia partenopea di tutte le creazioni di Moscato.

Un barocco divagare fra citazioni filosofiche calate nei suoni dei vicoli di Toledo, su ai Quartieri, dove Moscato è cresciuto. Una stravagante epopea di tenutarie di casino e signurine che ci lavoravano dentro, di trans e operate a Casablanca alla ricerca di una problematica identità sessuale da ricostruire. Tutte bionde ossigenate o rosso tizianesche. La Ines e Cartesiana e tutte le altre che daranno vita all’universo poetico di Moscato. Che ci pare di conoscere bene, eppure ogni volta è un rinnovato piacere.

Tante e ritroviamo poi in Patria Puttana che, come in altre occasioni, mette insieme alcuni pezzi della sua storia. Quelli in cui le sue creature elettive, le prostitute, assumono un rilievo che va oltre la metafora ossessiva della mercificazione. Qui si alterna con Giuseppe Affinito e Cristina Donadio (grazie alla Scianel televisiva ormai una star popolarissima che racconta di quanti anche a Bologna la fermano per strada e nei negozi), spuntando da dietro un paravento che è quasi l’unico arredo rimasto, sul fondo. E non inganna la romanesca Famme resta’ co’ tte sinno’ me moro con cui si presenta. Siamo sempre dalle parti della babelica Neapolis che il più recente bellissimo Raccogliere & Bruciare accosta alla cimiteriale Spoon River di Edgar Lee Masters. C’è la Nanà che si affanna nel bordello di Luparella.

La signora di Pièce noire che non vuole dimenticare come è arrivata fino a lì. Le femmene ’e vita sempre ingannate dai dominatori di turno. Tutte sconfitte alla fine, naturalmente. Ma forse è la vita una puttana, come dice la maglietta che Moscato indossava in scena in Compleanno sotto un vecchio kimono. And then you die.