Sono arrivati, anzi no. Potrebbe essere questo il motto controverso di una giornata segnata dall’apprensione a Odessa. La sera prima, la notizia che 14 navi della marina militare russa partite dalla base di Sebastopoli in Crimea insieme a una corazzata da sbarco di 120 metri erano giunte a poca distanza dalla città aveva allertato tutti. Da più parti si è paventata una notte di intensi bombardamenti o un possibile sbarco di incursori. Nessuna delle due ipotesi si è avverata ma ciò non significa che il pericolo sia scampato.

IERI NEL GRANDE CENTRO di raccolta gestito dai volontari vicino al viale Primorsky si scaricavano generatori di corrente. Venivano portati fuori a braccio da gruppi di tre o quattro volontari e caricati su automobili e furgoncini. Verso dove? Non si può dire. In guerra si arriva al punto in cui tutto diventa «informazione riservata», dopo giorni e giorni senza dormire, in piedi al freddo, in attesa, si ha la percezione che chiunque potrebbe rompere il fragile equilibrio che fino a quel momento ha evitato il disastro. Almeno questo è quello che si percepisce dagli sguardi e dalle (poche parole) di chi non ne può più di questa situazione.

Non serve scomodare Giovanni Drogo e i pensieri che Dino Buzzati gli attribuisce per interpretare lo stato d’animo di questi ragazzi. Nel Deserto dei tartari il tenente Drogo guardava all’orizzonte verso una terra sconfinata e indefinita, a Odessa si guarda il mare, un bel mare blu sferzato da un vento gelido che ricopre le ringhiere dei pontili di stalattiti di ghiaccio. Il contesto si presta più a un dramma ottocentesco che a un racconto del Novecento. E anche l’atmosfera sembra consona a un tale ritratto, un crescente malessere che si diffonde come un morbo e alimenta la paranoia degli informatori, la diffidenza verso qualsiasi telecamera o macchina fotografica, il sospetto verso le lingue straniere. «Otkuda ti?», da dove vieni, chiedono in molti, anche semplici passanti che, magari, ti hanno solo sentito parlare al telefono e hanno iniziato a guardarti di soppiatto. Non sono aggressivi, finora gli abitanti di Odessa sono riusciti a mantenere una certa lucidità. «Ah, sei italiano» sembra che dicano poi, condensando in un sorriso tutti gli stereotipi che ci accompagnano all’estero. E che qui sono forti di un reale attaccamento alla cultura popolare, soprattutto musicale, italiana del secondo dopoguerra.

LE STRADE SONO ANCORA PIENE di manifesti che pubblicizzano un concerto dei Ricchi e Poveri, un emulo di Adriano Celentano (di nome Adolfo) e un Al Bano che non si capisce se sia quello vero o no (considerati anche i suoi trascorsi con Putin e le critiche che ne sono scaturite in Ucraina). Fino a prima della guerra si sentivano dappertutto, dal carosello sopra la scalinata Potemkin ai bar del centro; ogni dieci metri c’era un locale che trasmetteva una canzone in italiano.

Ora tutto tace, non c’è più Sanremo ma neanche nient’altro. Il silenzio è un’altra caratteristica di questi giorni. Tant’è che ogni volta che una grossa jeep o un furgone entrano in una strada lastricata, il suono simile a una raffica o a un rombo ci fa voltare di scatto.

FORSE SE MYKOLAIV RESISTE Odessa non sarà toccata, si potrebbe pensare. Ma allora gli attacchi di oggi alla cittadina di Myrne? Si tratta di un piccolo centro a soli 32 chilometri a ovest della città colpito da un missile lanciato da una delle navi entrate nella baia. Inoltre, non è detto che Mykolaiv resista. La città è sotto pesante attacco da giorni ed è qui che sembra essere, almeno al momento, la battaglia decisiva per spaccare il fronte meridionale. Riuscendo a sfondare qui le truppe russe potrebbero chiudere Odessa da un lato e preparare l’avanzata verso nord da una posizione di forza.

Nel frattempo, sembra che anche Mariupol sia stata bombardata dal mare. Come se non bastasse, poco dopo le 19 le autorità cittadine della porta del Mar d’Azov hanno diffuso la notizia che il teatro comunale è stato oggetto di pesanti attacchi da parte dell’artiglieria russa. Secondo fonti ucraine le truppe di Mosca «hanno distrutto il teatro nel centro di Mariupol di proposito e con cinismo» dato che al suo interno si erano rifugiati centinaia di sfollati proprio per cercare riparo dai bombardamenti.

IL NUMERO delle vittime e dei feriti è ancora sconosciuto. Inoltre, nonostante le migliaia di persone riuscite a uscire dall’inferno dell’assedio negli ultimi 3 giorni, in città ci sarebbero ancora almeno 250 mila civili.
Anche a Kiev la situazione peggiora. Ieri mattina i frammenti di un proiettile d’artiglieria hanno colpito un edificio di dodici piani in pieno centro cancellandone l’ultimo e scatenando un incendio che si è rapidamente diffuso.

Tra i pompieri intervenuti sul posto si sono registrate due vittime, ma non si hanno ulteriori informazioni in merito. Nei sobborghi della capitale e nelle cittadine limitrofe, soprattutto nella zona nord-occidentale, continuano i combattimenti e si stima che siano già nell’ordine delle migliaia le persone senza riscaldamenti o acqua potabile. Da metà giornata l’esercito russo ha occupato la città di Ivankiv, 80 km a nord di Kiev e a metà strada verso la Bielorussia. La strategia delle truppe russe sembra ancora volta a separare la capitale dalle principali vie di trasporto e dalle linee di rifornimento in vista di un possibile attacco massiccio.

Sempre secondo fonti ucraine, un attacco aereo russo ha colpito la città di Markhalivka a sud-ovest della capitale e ha distrutto diversi appartamenti residenziali. Si è replicato a Vinnytsia, invece, quanto successo a Kiev due settimane fa. L’artiglieria russa ha infatti colpito la torre delle telecomunicazioni lasciando ampie zone della regione senza segnale televisivo.

DAL LATO UCRAINO ha avuto grande risonanza il contrattacco all’aeroporto di Kherson. In un video che è diventato subito virale, si vede lo stato di una delle piste d’atterraggio occupate dai russi dopo l’incursione di Kiev: decine di mezzi distrutti o seriamente danneggiati e una fitta coltre di fumo nero che si alza verso il cielo. Secondo molti analisti quest’attacco avrebbe assestato un duro colpo alle capacità di tenuta russa nella zona. Inoltre, sembra che in seguito a una “operazione speciale”, il sindaco di Melitopol, Ivan Fedorov, sia stato liberato e presto tornerà alle sue mansioni.

Infine, notizia tragica che fino alla fine abbiamo sperato fosse smentita: sembra che a Chernihiv dei militari russi abbiano aperto il fuoco su dei civili in fila per acquistare del pane lasciando sul terreno dieci morti.