Fatou Bom Bensouda, John Kerry, Abu Mazen. Se il legame tra gli ultimi due è evidente dato che Kerry è il Segretario di stato Usa che afferma di voler rilanciare il negoziato mediorientale e Abu Mazen è il presidente palestinese, più arduo è capire il collegamento con la signora Fatou Bom Bensouda, stimata giudice del Gambia. Eppure c’è e anche stretto. Bensouda alla fine del 2011 ha preso il posto di Luis Moreno-Ocampo come Procuratore alla Corte Penale Internazionale. Un incarico delicato presso un tribunale competente il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra. Pare che il Procuratore internazionale non perda le poche occasioni che ha disposizione per ricordare ad Abu Mazen che la Palestina – promossa al rango di Stato osservatore all’Onu lo scorso novembre – è chiamata al più presto a presentare la domanda di adesione alla Cpi, accollandosi doveri e diritti che ciò comporta. Sono quei diritti che turbano il sonno del premier israeliano Netanyahu. Una volta entrati nella Cpi, i palestinesi, se ne parla da tempo, potrebbero chiedere l’apertura di un procedimento contro Israele per la sua politica di colonizzazione e per l’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est che dura da 46 anni. Qui si fa stretto il collegamento tra Segretario di Stato americano e Bensouda.

Kerry domenica ha lasciato Israele annunciando «progressi reali» emersi dalla sua ultima missione (la quinta da febbraio) e prevedendo che presto si arriverà alla ripresa dei negoziati bilaterali israelo-palestinesi. Parole che hanno lasciato perplesse entrambe le parti in causa perchè la spola fatta da Kerry tra Netanyahu e Abu Mazen non ha prodotto la svolta: lo ripete il caponegoziatore palestinese Saeb Erekat e lo fanno sapere attraversi vari canali gli israeliani. Netanyahu ripete di essere pronto a discutere di tutto una volta riaperto il tavolo delle trattative ma non intende accettare le precondizioni palestinesi: stop della colonizzazione, liberazione dei prigionieri politici in carcere da più di 20 anni, base della trattativa le linee del giugno 1967, quando Israele ha occupato i Territori palestinesi. Non sono condizioni palestinesi ma obblighi di Israele, spiega Erekat.

Quanto sia prevalente nell’ottimismo ostentato da Kerry il bisogno di dare segnali positivi di fronte alle difficoltà, è difficile quantificarlo. La sensazione però è che il capo della diplomazia americana più che all’improbabile vertice entro agosto tra Netanyahu e Abu Mazen, stia puntando a guadagnare tempo, prima che il Procuratore Bensouda convinca l’esitante presidente palestinese a fare la “cosa giusta” aderendo alla Corte Penale Internazionale. Settembre è sempre un mese importante per le Nazioni Unite e Kerry sembra fare il possibile per impedire – trascinando il suo debole tentativo di rilanciare il negoziato – che un fallimento dell’iniziativa diplomatica in corso porti Abu Mazen ad annunciare nuove “mosse unilaterali” durante la prossima Assemblea Generale dell’Onu. In quell’occasione il presidente palestinese potrebbe anche ottenere sostegni – da usare in seguito davanti alla Cpi – alla condanna di Israele non come occupante di un altro popolo ma come occupante di un altro Stato, ora che la Palestina ha un seggio all’Onu come “osservatore”.

Il premier Netanyahu, comunque sia, va per la sua strada. E’ pronto il via libera alla costruzione di altri 930 alloggi nella colonia israeliana di Har-Homa (che un’agenzia di stampa italiana due giorni fa ha descritto come un “rione”), tra Gerusalemme Est e Betlemme. Kerry intanto continua a premere su Abu Mazen affinchè torni alle trattative senza porre precondizioni, come chiede Netanyahu.