La farsa chiamata processo di pace è stata organizzata grazie all’orchestrazione americana e all’appoggio europeo. Tutti sembrano propensi a credere davvero nel processo, sebbene in molti sappiano che non può funzionare. Nella realtà si vuole nascondere la reale indole del processo: l’eliminazione della pace come alternativa reale e necessaria, almeno per due popoli, quello palestinese che soffre un’occupazione brutale, continuativa e quello israeliano che non sarà libero, mentre si procede a soggiogare il popolo palestinese

Una vera pace non può essere stabilita in base alle diverse condizioni fissate da Israele. Ma è più conveniente ricordare che non partecipano alle discussioni due corpi simmetrici, ma piuttosto il contrario. Da un lato Israele, una vera e propria mini potenza in Medio Oriente, dall’altra parte quella che si definisce Autorità Palestinese, un’invenzione che potrebbe aver avuto qualche senso nel 1993 (quando sono stati firmati gli accordi di Oslo) che si propone di dominare la vita dei palestinesi, ma sempre sotto il controllo totale di Israele, la potenza occupante nei territori occupati.

Il mediatore, gli Stati uniti, è ben lungi dall’essere un intermediario neutrale. La principale guida politica è costituita dagli interessi americani, decisamente meglio serviti da Israele che da una debole Autorità palestinese che non rappresenta alcun potere reale.

L’attore principale nel processo di pace dovrebbe essere Israele perché è l’occupante che opprime il popolo palestinese e senza la predisposizione di Israele verso una vera indipendenza non si può pensare alla pace. Il governo israeliano è un governo di estrema destra che continua a costruire a rotta di collo insediamenti nei territori occupati: ogni nuova casa è un ostacolo in più ad un accordo di pace. L’esercito israeliano ha continuato con violenza a opprimere il popolo palestinese e la burocrazia dell’occupazione è un meccanismo poco discusso, ma molto efficiente per trasformare in un inferno la vita quotidiana dei palestinesi. A Gaza il «governo» di Hamas gode della presunta «indipendenza» dal totale assedio israeliano ed egiziano e la Striscia di Gaza, in passato una prigione con la presenza di carcerieri israeliani è ormai una prigione controllata dall’esterno.

Repressione, provocazioni – sia israeliane, sia di organizzazioni estremiste islamiche – minacciano possibili escalation sanguinose in ogni momento. Gli eventi turbolenti in Egitto contribuiscono solo ad un isolamento crescente della presunta «indipendenza» di Gaza.

Netanyahu oscilla tra estremisti di destra nel suo partito e il Partito Nazionale Religioso (Habeit Haihudi) di estrema destra. Per questo può permettersi di chiedere ai palestinesi qualcosa di assurdo: devono riconoscere Israele, non come uno Stato, ma come Stato ebraico; la definizione religiosa confessionale non ha senso, perché perfino gli israeliani non sanno bene cosa significa identità ebraica: la religione (con le sue varie correnti) o la nazione o che altro? Forse l’Italia richiede dalla comunità internazionale il riconoscimento come Stato cattolico?

Il fascismo cresce e si rafforza ogni giorno. I ministri israeliani attaccano gli Stati uniti per godere del sostegno degli estremisti nel partito e le considerazioni di politica interna sono più importanti per Netanyahu e i suoi ministri della possibilità di un futuro migliore.

La farsa avviene anche nelle ultime ore: l’ipotesi di liberazione della spia americana Pollard, è un atto che darà grande popolarità, permetterà la liberazione di prigionieri palestinesi e la possibilità di continuare a costruire nei Territori in una forma un po’ più discreta e proseguire i negoziati che non portano a nulla. L’obiettivo di Netanyahu è semplice: collaborare ai disegni dei repubblicani, vincere le elezioni di novembre e conquistare il Senato, rendendo Obama un presidente debole che non può imporre nulla di nuovo a Israele. In pratica Netanyahu vuole andare avanti con i negoziati, ma non ha alcun interesse ad una conclusione esauriente. Una grande masturbazione, niente di più.

Il terzo attore è parte della tragedia: una leadership palestinese debole, con una società civile che ha perso gran parte del potere che aveva. La corruzione è parte del motivo del malcontento costante di una popolazione oppressa che teme, con buona ragione, il tradimento dei loro leader.

La prima Intifada scoppiò nel 1987 senza la previa preparazione della leadership in Tunisia, senza Arafat. La seconda scoppiò nel 2000 e divenne molto più sanguinosa quando il popolo palestinese ha cominciato a protestare non solo contro l’occupazione, ma anche contro la disperazione e il malcontento verso una leadership palestinese corrotta. La divisione profonda e violenta tra il vecchio e stanco Olp e Hamas è parte di una triste realtà di oggi e concretizza il momento difficile dei palestinesi sempre più deboli. Se tutto questo significa un futuro senza speranza per israeliani e palestinesi, è probabile che entrambi i popoli, con il cordiale sostegno americano possano affacciarsi verso un nuovo e sanguinoso capitolo. L’assenza di un futuro diverso, non può portare ad un futuro migliore.