«Spezza il cuore vedere i bambini di Mosul diventare futuri terroristi. Ho insegnato a mio figlio a fingersi autistico per non essere reclutato da Daesh. Sono disperati e potrebbero costringere i bambini a combattere». È il messaggio raccolto dalla Reuters da un residente di Mosul via WhatsApp. Oggi Facebook, Viber e WhatsApp sono gli unici strumenti per comunicare con l’esterno.

Un milione e mezzo di persone ancora residenti dopo la fuga di massa del giugno 2014 nelle ultime settimane assistono ai preparativi dello Stato Islamico in vista della controffensiva che Baghdad intende lanciare – si dice – entro fine mese. Da mesi i miliziani blindano la seconda città irachena: tunnel, trincee, campi minati, cecchini sui tetti.

Negli ultimi giorni però, dicono alla Reuters funzionari statunitensi e iracheni, le attività si intensificano: cinque ponti sono stati riempiti di esplosivo, autobombe sono pronte all’attacco e la sorveglianza è ancora più soffocante.

«Sono molto più prudenti – spiega l’ex ministro degli Esteri Zebari – Si rasano le barbe per mescolarsi alla popolazione e muovono costantemente i quartier generali». In alcuni casi, aggiungono i residenti, comprano bambini per fargli fare da spie in giro per la città.

Anche l’altro fronte si prepara: Baghdad ha inviato altre unità a poche decine di km a est della città. Si ammassano, però, anche le milizie sciite, che gli Stati Uniti provano ad allontanare dalla prima linea: migliaia di uomini si sono avvicinati alla diga di Mosul.

Una presenza che non piace nemmeno a chi in Iraq ha già gli stivali e che punta a Mosul non tanto per liberarla quanto per avere un ruolo sul futuro del capoluogo della provincia sunnita di Ninawa, la Turchia. Dopo le sprezzanti parole del presidente Erdogan dirette al premier iracheno («Dice ‘ritiratevi’. L’esercito della Repubblica di Turchia non ha perso il senno da prendere ordini da te. Non sei il mio interlocutore, non sei al mio livello. Chi sei? Il premier iracheno. Stai al tuo posto”»), Baghdad ha risposto: in un tweet al-Abadi fa ironia sul tentato golpe del 15 luglio e ricorda ad Ankara che posto nella battaglia di Mosul non ce n’è.

La Turchia fa orecchie da mercante: il vice premier Kurtulmus ha ribadito l’intenzione di prendere parte con i mille uomini che ha nella base irachena di Bashiqa alla battaglia finale, mentre altre truppe venivano inviate al confine con l’Iraq. L’obiettivo turco è spezzettare l’Iraq in tre aree amministrative (kurda, sunnita e sciita) per indebolire il vicino e toglierlo dall’influenza iraniana.

Uno scopo condiviso dall’amministrazione Usa che, però, si dice preoccupata per l’interventismo turco, preferendo approcci più sottili e occulti: «Le forze turche dispiegate in Iraq non sono parte della coalizione internazionale –commenta il portavoce del Dipartimento di Stato, Kirby – È necessario che le parti si coordinino per assicurare l’unità dell’impegno».

Sullo sfondo sta lo Stato Islamico, obiettivo più di facciata che reale. Nonostante la perdita di territori, l’Isis colpisce le zone non occupate con attacchi settimanali ampliando la distanza tra le comunità. A dimostrare la potenza di fuoco islamista c’è l’attacco del 2 ottobre nei pressi di Erbil: con un drone – arma altamente tecnologica – ha ucciso due peshmerga e ferito soldati francesi.

Di Isis in Siria, invece, ne parla la Bbc che riporta dell’esistenza di un campo di internamento del gruppo di opposizione Jaysh al-Tahrir, parte dell’Esercito Libero Siriano: è destinato agli islamisti catturati e alle loro famiglie e – dicono i ribelli – servirebbe a «riabilitarli» e, nel caso di foreign fighters, a rimandarli al paese di origine. E i locali? Potrebbero essere “riutilizzati”, fatti rientrare nel conflitto accanto alle opposizioni impegnate ad Aleppo?

Continua intanto il tira e molla tra le potenze: dopo aver cancellato il viaggio in Francia per discutere della risoluzione proposta da Parigi, ieri la Russia ha annunciato la ripresa del dialogo a Losanna con gli Stati Uniti e i paesi della regione, tra cui l’Iran, a partire da sabato. Un annuncio che segue alle rinnovate violenze ad Aleppo (55 morti i due giorni in raid governativi) e Damasco (missili delle opposizioni su aree residenziali) e al botta e risposta tra Mosca e l’Occidente, accusato di «isteria anti-russa». Un approccio che, secondo fonti britanniche all’Ibt, Londra potrebbe infiammare: alla Raf sarebbe stato ordinato di abbattere jet russi nel caso rappresentino una minaccia.