Il Consiglio delle Comunità Lealiste (Loyalist Communities Council), gruppo fondato nel 2015 che rappresenta formazioni paramilitari quali la UVF (Ulster Volunteer Force), la UDA (Ulster Defence Association) e l’assai temuto Red Hand Commando, ha inviato una lettera al primo ministro britannico Boris Johnson per informarlo di aver ritirato il proprio appoggio agli Accordi del Venerdì Santo del 1998. Da quelli si era gradualmente consolidato, negli anni, il processo di pace, prima con la nascita del governo misto unionisti-repubblicani in Irlanda del Nord, e poi con una collaborazione sul territorio tra rappresentanti delle due principali comunità in tanti campi.

IL MOTIVO DI QUESTA DEFEZIONE, che era nell’aria da settimane, è il protocollo nord-irlandese concordato da Londra e Bruxelles dopo lunghe negoziazioni anche con i politici locali, grazie al quale il confine doganale tra Irlanda del Nord e Regno Unito è stato di fatto spostato sul mare. Questo per evitare il ritorno a un confine duro e non facilmente controllabile tra le due Irlande. La richiesta dei lealisti è ora di apportare sostanziali modifiche all’accordo, per assicurare un incondizionato accesso a beni e servizi, e il libero movimento «per tutti i cittadini del Regno Unito».

Gli estensori della missiva hanno esplicitamente dichiarato che le scelte del governo britannico minano alla base la loro storica decisione di abbandonare l’opzione della violenza. Opzione, però, mai del tutto scartata, se è vero che nel variegato universo lealista – a differenza del fronte repubblicano – raramente si è davvero percepita la volontà di un cambiamento di rotta. Lo dimostrano azioni di intimidazione che sono continuate negli anni; e lo si è visto anche nelle settimane passate, sia con le minacce ai lavoratori portuali che con la dimostrazione di forza di una sfilata di paramilitari tra i quartieri di Belfast est, alla quale sono seguiti alcuni arresti.

I POLITICI DELLA FAZIONE unionista si sono affrettati a rassicurare che la lettera non contiene minacce di violenza, ma soltanto una rivendicazione identitaria e un richiamo al rispetto di presunti diritti violati. Sir Jeffrey Donaldson, deputato di Westminster eletto nei ranghi del DUP, parla di un’opposizione pacifica, e non di un ritorno al passato. Tuttavia, la lettera dice nero su bianco che il protocollo mette in discussione «le fondamenta del cessate il fuoco deciso dal Combined Loyalist Military Command nel 1994».

Va detto che nei giorni scorsi i segnali non sono stati positivi. L’ex leader dello UUP David Trimble si era detto «personalmente tradito» dal protocollo, e la contestata segretaria del DUP, nonché primo ministro nordirlandese, Arlene Foster, dopo avere nei fatti assicurato l’appoggio alle negoziazioni da cui è scaturito il protocollo stesso, non ha perso occasione per mostrarsi pronta a fare un passo indietro, andando quindi incontro a un sentire diffuso tra la comunità unionista e lealista.

È UN LEGAME quello tra i partiti della galassia unionista e i fautori dell’opzione militare che non è mai stato taciuto. I contatti sono costanti e alla luce del sole. Solo questa settimana, la Foster col suo vice, Nigel Dodds e un membro di Westminster Gavin Robinson avrebbero discusso apertamente di come opporsi al protocollo, nientemeno che con rappresentanti dell’UVF, dell’UDA e dei Red Hand Commando, quali Winston Irvine, Jackie McDonald, e Jim Wilson. Il che appare politicamente di enorme gravità, soprattutto alla luce delle note attività criminali condotte da membri e simpatizzanti dei suddetti gruppi.