Si potrebbe affermare che, sotto il profilo della storia religiosa dell’Europa e del Vicino Oriente, il IV secolo si sia aperto con Costantino e chiuso con Teodosio e il suo principale ispiratore: Ambrogio. Nel mezzo, l’ultimo accanito contrasto fra pagani e cristiani. Escono in contemporanea due lavori, molto diversi fra loro, che tracciano un profilo di Costantino (Alessandro Barbero, Costantino il Vincitore, Salerno Editore, pp. 852, euro 49) e di Ambrogio (Franco Cardini, Contro Ambrogio. Una sublime, tormentosa bellezza, pp. 136, euro 11); attraverso la lettura delle due opere si può avere un quadro decisamente più chiaro del cambiamento radicale nel quale incorsero l’impero e la società.

ANCHE SE L’APOLOGETICA cristiana ha aggiunto tinte più fosche del necessario alle persecuzioni anticristiane prima di Costantino, è indubbio che il problema dell’atteggiamento da tenere nei confronti dei seguaci di Cristo si era presentato precocemente, in particolare verso i cristiani che si rifiutavano di partecipare all’adoratio dell’imperatore. Dopo alcuni sporadici tentativi di repressione, tra la fine del II e gli inizi del III secolo l’atteggiamento delle autorità romane era stato sostanzialmente improntato alla tolleranza. Ma la difficile situazione attraversata da Roma e il rapido proselitismo dei cristiani attiravano il malcontento sulle comunità: divenne dunque necessario adottare provvedimenti di maggior peso.

Nel 250 si scatenò una persecuzione anticristiana ordinata dall’imperatore Decio. Cinque anni più tardi l’editto di Valeriano colpì i responsabili delle comunità locali dei fedeli, al fine di costringerli a partecipare ai riti del culto imperiale. Nel 260, per volontà dell’imperatore Gallieno, cessarono le persecuzioni e per i cristiani ebbe inizio un quarantennio di pace. Durante il regno di Diocleziano la pace venne tuttavia interrotta. Con l’emanazione del famoso editto persecutorio del 303, Diocleziano e Galerio ordinavano la distruzione delle chiese, il rogo delle Sacre Scritture e misure che colpissero chiunque, cristiano, avesse svolto mansioni pubbliche. Le persecuzioni – questa volta assai dure – continuarono anche dopo il ritiro di Diocleziano, sino al 311, quando l’imperatore Galerio emanò un editto di tolleranza.

La svolta fondamentale per la vita del cristianesimo nell’impero giunse però due anni più tardi, nel 313, con l’editto emanato a Milano da Licinio e da Costantino: anche se, come ci dice Barbero, la tradizione ha obliterato il ruolo preponderante del primo a favore del secondo. In esso si dava piena libertà di culto a tutte le fedi dell’impero: il che ovviamente ha conferito alla figura di Costantino una centralità assoluta nella memoria storica cristiana. E qui, ci dice Barbero, cominciano i problemi: perché della sua figura sembra di conoscere ormai tutto, alla luce di innumerevoli fonti, ma di fatto buona parte della storiografia, di quella antica come della contemporanea, ha costruito una immagine dell’imperatore selezionando le fonti, ignorando quelle che l’avrebbero smentita, talvolta commettendo errori che si sono poi radicati passando per informazioni.

BARBERO RIESAMINA tutta questa mole di notizie per restituire un Costantino aderente alla molteplicità delle fonti che ne hanno tramandato le azioni, incluse quelle messe in sordina dalla tradizione cristiana: «Costantino è un usurpatore che diventa unico imperatore romano sconfiggendo e uccidendo tre colleghi, di cui uno era suo suocero e gli altri due i suoi cognati: nessun altro al mondo è mai riuscito ad ammazzare cosí tanti imperatori romani. Eliminati tutti i rivali e divenuto unico padrone dell’impero, Costantino fa uccidere il figlio maggiore Crispo e la seconda moglie Fausta, anche se non sappiamo perché. Subito dopo la sua morte, i suoi figli uccideranno in un bagno di sangue quasi tutti i fratelli e i nipoti superstiti di Costantino, e poi si ammazzeranno fra loro, finché non ne rimarrà uno solo. Questa immagine shakespeariana, sanguinosa e tragica, non è il frutto di una tradizione ostile, alternativa rispetto all’immagine santificata del Costantino cristiano: sono tutti fatti accertati, che dobbiamo cercare di far coesistere con le scelte religiose dell’imperatore».

È la volontà di ripercorrere questa intera tradizione storiografica con certosina precisione a far sì che il Costantino di Barbero risulti in un libro di oltre ottocento pagine; il che potrebbe far paura a più di un lettore, ed è quindi opportuno segnalare che la discussione storiografica viene inserita nel corso dell’opera in sezioni segnalate ed è possibile fruire anche solo delle parti più narrative. Ma più di questo accorgimento, un’altra cosa ci pare importante, e cioè che, in linea con quanto premesso, Alessandro Barbero non crea un «nuovo» Costantino, e anche questo potrebbe lasciare perplessi i suoi lettori: la sua è in primo luogo un’opera di decostruzione, di pulizia dalle incrostazioni di idee e interpretazioni che alla luce delle fonti non hanno ragion d’essere. E soltanto nelle poche pagine conclusive si lascia andare quasi suo malgrado: «Fino all’ultimo ho creduto che non avrei scritto delle conclusioni», ci dice, ma «non è possibile convivere per anni con le fonti su Costantino senza farsi, un po’ per volta, una propria idea di cosa dev’essere accaduto davvero».

QUALE SIA LA SUA IDEA non è il caso di dirlo qui: molto meglio leggere il libro; ma quello che senz’altro si ritiene è la lezione di metodo, il gusto per l’indagine e la scoperta al di là dei luoghi comuni. Che è poi una lezione valida non soltanto in ambito storiografico.
Negli anni successivi alla morte dell’imperatore, però, la crisi tra pagani e cristiani, nonché fra cristiani di diverse confessioni, evidentemente solo sopita, si riaccese e raggiunse il suo apice nel 357 con la contesa intorno all’Altare della Vittoria: Costante II, succeduto a Costantino e cristiano di simpatie ariane, fece rimuovere l’ara sacra alla quale i senatori rendevano omaggio bruciando ritualmente grani d’incenso. Fra 361 e 363 l’ascesa al potere di Giuliano (il quale ha ricevuto dalla tradizione cristiana l’epiteto di «Apostata») sembrò riportare il primato alla tradizione pagana; pur essendo stato educato come cristiano, Giuliano sentiva maggiore attrazione per la cultura ellenistica ed esprimeva le sue stesse propensioni per il monoteismo nel favore accordato al culto solare.

Dopo Giuliano, la Chiesa riprese il sopravvento grazie soprattutto a due imperatori, cristiani nel modo più deciso e rigoroso: Graziano (375-383) e Teodosio (379-395). Su entrambi, e sulle loro scelte, si proietta l’ombra del potente Ambrogio vescovo di Milano. Il libro che Franco Cardini gli dedica è quasi un pamphlet già a partire dal titolo provocatorio (Contro Ambrogio) soltanto mitigato dalla «grandezza» cui si allude nel sottotitolo. Non è soltanto il numero di pagine ben differenti a contraddistinguere i due saggi; quello di Cardini si posiziona infatti in linea con gli interessi da lui manifestati in tante opere dedicate ai rapporti fra Occidente cristiano e Islam in questi ultimi anni di crisi, contro la vulgata che vorrebbe un cristianesimo affermatosi nella storia grazie all’esempio dei martiri, alla predicazione, alle buone opere, e un Islam che invece si sarebbe fatto largo a colpi di spada. La scelta di Teodosio, che mette fuori legge culti e confessioni differenti dal cristianesimo niceno, ha significato una svolta repressiva che ha segnato l’intera storia successiva dell’Occidente; e anche gli appartenenti ad altri culti hanno contato la loro buona parte di martiri poco celebrati dalla tradizione.

MA NON C’È SOLO QUESTO. Prima di essere l’ispiratore della scelta teodosiana del cristianesimo come unica religio licita, spiega Cardini, Ambrogio ha rivendicato ai chierici un ruolo di modello e di guida nei confronti dei laici e di quegli stessi tra loro ch’erano pubblici funzionari o addirittura detentori della suprema funzione imperiale; in tal senso egli sta alla base di un lungo e complesso itinerario che la riforma della Chiesa dell’XI secolo e il monarchismo pontificio riprenderanno, configurando una tradizione che solo il conciliarismo quattrocentesco (per una breve parentesi), il Concilio Vaticano II e, oggi, alcune scelte di papa Francesco hanno teso in qualche modo a limitare e a correggere. Così, se l’obiettivo polemico di Barbero è la storiografia, quello di Cardini sta nella visione parziale che amiamo dare della nostra storia – e di quella altrui. Entrambe sono operazioni encomiabili, entrambi libri importanti ben al di là dell’argomento trattato.