Seppur minoritarie in una opinione pubblica largamente schierata con le politiche del governo Netanyahu, si moltiplicano le prese di posizione contro il piano – partenza volontaria o carcere a tempo indeterminato – per l’espulsione di circa 40mila richiedenti asilo e migranti africani da Israele. Dopo le iniziative alla Knesset organizzate martedì e mercoledì dai deputati del Meretz, del Labour e della Lista araba unita e dagli attivisti di Rabbini per i Diritti Umani, ieri con una lettera inviata al primo ministro, 35 intellettuali, scrittori e artisti – tra cui Amos Oz, Abraham Yehoshua, Davide Grossman, Meir Shalev, Etgar Keret – hanno chiesto di fermare la deportazione di richiedenti asilo provenienti dall’Eritrea e dal Sudan e scappati dalla guerra. «Di fronte alla grande ondata di rifugiati in Europa e in Africa – è scritto nella lettera – il numero di richiedenti asilo che vivono in Israele è meno della metà dell’1% della popolazione e le porte del Paese per loro sono bloccate dal 2012». I firmatari ricordano che in Rwanda e Uganda, dove dovrebbero essere mandati, gli africani «sono attesi da torture e perfino esecuzioni». In Israele vivono di fatto senza alcun permesso altri 100mila cittadini di altri Paesi, in gran parte provenienti dall’Europa orientale. Contro di essi il governo Netanyahu non ha adottato misure restrittive o minacciato deportazioni di massa. La politica del governo di destra punta quasi esclusivamente a colpire chi è arrivato dall’Africa nella speranza di ottenere asilo. Tra sudanesi ed eritrei intanto cresce l’ansia in vista del 30 marzo, l’ultimo giorno utile per lasciare Israele ed evitare la prigione. Molti tremano alla prospettiva di tornare nei Paesi d’origine. Tra questi un giovane sudanese, Abdulla “Wadjungah”, Mohammad si è tolto la vita.