I materiali originari sono in scena, cartacei, tangibili, pronti a vivificarsi attraverso la voce di Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi. In uno spazio interlocutorio prende forma La mappa del cuore di Lea Melandri, creazione del bolognese Ateliersi, passato come un lampo dal Teatro Quarticciolo. Aste, microfoni, casse da imballaggio e un piccolo schermo fanno da corollario a quei due tavoli su cui sono poggiate le preziose carte, uno a destra e l’altro a sinistra. Uno per Menni, sul quale si mostrano mazzi di lettere incolonnate, e l’altro per Mochi Sismondi, dove sono spase copie di Ragazza In, la rivista per adolescenti che negli anni 80 ospitava la rubrica Inquietudini curata appunto dalla scrittrice, attivista e femminista, Lea Melandri. Proprio quest’ultima ha donato il suo archivio di lettere, incastonandolo in un apparato scenografico funzionale al divenire drammaturgico di questo esperimento di condivisione di interrogativi e tematiche forse in parte oggi più chiari, ma certamente non risolti. Una modalità laboratoriale di tornare alle inquietudini identitarie di quelle giovanissime protagoniste (ma a Melandri scrivevano anche ragazzini) che chiedevano visibilità e risposte su sessualità e rapporti con l’altro (sesso), nella difficoltà di inscatolarsi in ruoli prestabiliti e in una società ormai gravida, nonostante il riflusso, di movimenti e femminismo.

E GRANDE TENEREZZA suscita questo social ante litteram, dove il privato si auspicava diventasse pubblico e le questioni poste (tra timore e speranza) avrebbero potuto creare un reticolato di risposte/riflessioni. A definire lo spaesamento di quegli adolescenti è il canto sussurrato di Francesca Pizzo che, dapprima sul boccascena e poi arretrando e sedendosi al centro, costruisce il contesto sonoro dell’intero spettacolo, restituendo le note dei Duran Duran, gruppo di punta in quegli 80. Così, mentre Menni legge alcune lettere, quasi scomparendo dietro al microfono, Mochi Sismondi inquadra con la telecamera le copertine di Ragazza In e dice che sua madre leggeva quella rivista. Un dialogo tra generazioni a distanza di quarant’anni.